Beowulf. (Einaudi)
Mi hanno regalato un Beowulf a Natale due anni fa, e poi me ne hanno regalato un altro qualche mese dopo. Quando si dice che uno frequenta bene.
La storia si racconta in fretta, e la si sa già dalle bellissime e utilissime introduzioni. Dalla Svezia Beowulf va in Danimarca e ammazza l’orco Grendel, poi ammazza la madre di Grendel, torna in Svezia carico di doni e poi diventa re e da vecchio ammazza il Drago che s’è infuriato perché gli hanno rubato una coppa dal tesoro che custodisce e sputando fuoco gli distrugge il regno, ma dopo il combattimento Beowulf muore per il suo (suo del drago) morso avvelenato.
Si sa già come va a finire ma la bellezza è tutta nello scritto, poco più di tremila versi in un mondo gelido e tenebroso raccontato con immagini affascinanti.
Le attività principali sono sbronzarsi di birra e d’idromele dalla mattina alla sera e combattere e darsi al potlatch (il re è detto “frantumanelli”), ma l’epica del nord non ha niente a che fare con Omero. L’orco Grendel è uno sfigato che non ha nemmeno un padre e vive da emarginato in una palude schifosa e invidia gli uomini perché se la cantano e se la sbevazzano tutte le notti e allora li attacca mentre dormono ubriachi e muore dissanguato mentre scappa dopo che il fortissimo Beowulf gli ha strappato via un braccio, sua madre è una poveraccia che cerca di vendicare il figlio e di recuperare il braccio che gli uomini tengono appeso come un trofeo e a Beowulf gliela fa quasi veder brutta ma alla fine la paga cara anche lei.
Ma neanche gli uomini se la passano troppo bene, in mezzo a tradimenti e disgrazie famigliari di ogni genere, e forse il senso finale di tutta la storia è il tesoro del Drago, che è stato abbandonato da un moribondo dopo che tutti i suoi compagni sono morti in battaglia, e il Drago lo trova e lo custodisce e va in bestia quando gli rubano una coppa e fa un sacco di danni ma alla fine muore anche lui, dopo un combattimento in cui non si capisce se quello che ha più paura è Beowulf o è il Drago, e il tesoro va a finire nella tomba di Beowulf, e insomma questo tesoro è sempre stato lì e non è mai servito a niente e a nessuno e a niente mai servirà.
Bellissima e più che piacevole lettura di un’opera che ci permette di vedere bene come si esprime una cultura orale, piena delle meravigliose metafore della poesia scaldica per cui il mare è “la via delle balene” e le battaglie sono ”temporali di ferro”. Se poi si conosce René Girard, (che peraltro fa risalire la tradizione del potlatch agli indiani canadesi kwakiutl e trascura i nostri vichinghi, comunque vedi nel blog quando ci sarà, La violenza e il sacro), non sfuggirà che anche in questo mito c’è la festa che prende una brutta piega, che anche qui la violenza è un male che viene dall’esterno e che alla fine l’eroe che la ferma deve comunque morire, trionfatore all’inizio e vittima espiatoria alla fine.
E poi si impara che il tema dell’angoscia e della mancanza di senso della vita, con relativa soluzione alcolica del problema, comincia quasi millecinquecento anni fa con l’inizio della letteratura anglosassone, e che quello dell’emarginazione del diverso è uno dei più antichi contenuti culturali europei. (bamborino)
La formazione e lo sviluppo della letteratura sono una parte del processo storico totale della società. L’essenza e il valore estetico delle opere letterarie, e quindi la loro azione, è una parte di quel processo generale e unitario per cui l’uomo si appropria del mondo mediante la sua coscienza. (Giörgy Lukács, Introduzione agli scritti di estetica di Marx ed Engels)
Nessun commento:
Posta un commento