sabato 2 febbraio 2013

Eric A. Havelock


Eric Alfred Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura. (Laterza)

Visto che in prefazione si pianta una grana sul titolo di questo libro, che è uno dei principali testi di riferimento di Oralità e scrittura di Walter Ong, comincio anch’io piantando una grana, cioè dico che il titolo Preface to Plato stabilito da Eric Havelock, che non è un cretino, secondo me andava benissimo, e non c’era ragione di tradurlo in italiano trasformandolo in una sparata professorale. Oltretutto facendo in qualche modo trapelare l’idea, e stiamo parlando della Grecia dei tempi di Omero e di Esiodo, che la cultura orale fosse cosa diversa dalla civiltà.
Diciamo quindi che questo libro è veramente una prefazione al pensiero di Platone nel senso che dà ad esso una posizione storica nuova e che dopo averlo letto si potrà affrontare La Repubblica e il resto con una mente più preparata e sarà un piacere rivedersi per esempio tutta la parte che parla del famoso letto e di cosa sia un letto e tutta la realtà che abbiamo intorno e dentro di noi e ci diremo, ecco, non avevo capito niente e adesso capisco, e capiremo fino in fondo cosa intendeva dire Alfred North Whitehead quando scrisse in Process and Reality cheThe safest general characterization of the European philosophical tradition is that it consists in a series of footnotes to Plato”, o se vogliamo nella guerra ancora in corso tra realisti e nominalisti.
Con Platone nasce il pensiero occidentale e questo libro di Eric Havelock è la storia del momento in cui si instaurava il processo di questa nascita.
Cioè questo libro è una prefazione non solo a Platone ma anche al pensiero occidentale o meglio a quello che noi intendiamo come pensiero. O che almeno abbiamo inteso come pensiero fino ad ora, fino a quest’epoca di oralità secondaria.
Quindi questo libro è anche una prefazione a quello che sta succedendo ai nostri tempi, e ci fa capire bene che cosa rischia di diventare, cioè non rischia perché si tratta di un processo ineluttabile, quindi cosa sta per diventare il modo di pensare dell’epoca dell’oralità secondaria.
Insomma Eric Havelock ha scritto un libro sull’impensabile, per cercare di capire e di spiegare, attraverso lo studio dei poemi omerici e di Platone, come si parlava e quindi come si pensava prima dell’invenzione della scrittura e dell’alfabeto. Quando le parole che denominavano le istanze dell’interiorità non esistevano come le intendiamo noi e le emozioni potevano essere considerate solo come entità distaccate.
Ora, essendo io nel mio piccolo socraticamente consapevole appunto di questa mia piccolezza e di tutto quello ch so di non sapere, non mi sogno nemmeno di mettermi a scrivere un riassunto del testo di Havelock tale da illustrarne gli argomenti, e mi limiterò a mostrarne quelli che secondo me sono i punti di contatto con quello che ci sta succedendo intorno.
Quindi segnalo innanzitutto la possibilità di un rapporto tra la formidabile importanza dei fattori ritmici nella poesia epica e quanto detto sugli elementi ritmici del linguaggio da Dean Falk in Lingua madre.
E dico anche che Eric Havelock mostrandoci la tendenza del pensiero orale dei Greci a cristallizzare i fattori astratti in forma di intervento di personaggi potenti come gli Dei o a denominare come oggetti reali e dotati di proprie possibilità di azione quelli che per noi sono istanze interiori o modi dell’essere, vedi l’ira di Achille con cui comincia l’Iliade, secondo me ci fa vedere da dove venga, cioè dalla sempre più vasta inondazione di modalità di pensiero orale, il sempre più diffuso malvezzo di utilizzare sostantivi astratti che così vengono ipostatizzati o reificati, invece di aggettivi e/o di attributi della persona, per esempio uno spot pubblicitario in cui si dice che una compagnia di assicurazioni lavora per darci tranquillità invece di dire che lavora per farci stare più tranquilli.
Avremo quindi un aiuto a capire anche come mai si diffonde sempre di più la tendenza alla medicalizzazione e soprattutto alla psichiatrizzazione della vita quotidiana, per cui non si dice più che uno sta male e non ne può più della vita che fa ma si dice che gli è venuta la depressione, l’ansia e l’insonnia, come ai tempi di Omero non si diceva che Achille si era infuriato ma si diceva che la sua ira portava lutti agli Achei.
Che a voler fare della critica impostata in senso marxista uno potrebbe dire che il capitalismo non vuole riconoscere il disagio che genera negli esseri umani e quindi ce lo gabella come una malattia, ma abbiamo visto con Empire and Communications di Harold Innis che le interpretazioni marxiste possono andar bene ma c’è anche dell’altro, e forse con Marshall Mc Luhan e il suo La galassia Gutenberg abbiamo visto che il marxismo potrebbe essere considerato anch’esso un’espressione di mentalità tipografica.
E nello stesso modo si dice che c’è il farmaco che arriva al centro del dolore, e non un centro in senso neurofisiologico ma nel senso che arriverebbe nel punto centrale di quest’altra entità concettuale che è il dolore, che però anche in questo caso viene ipostatizzato o reificato fino a diventare un oggetto fisicamente dotato di un punto centrale.
E se ci pensiamo potremo trovare altri esempi più vicini, quasi identici a questa pubblicità, in un altro Grande dell’oralità, grandissimo soprattutto nel rendere esplicita e tangibile (sic) quella tattilità pretipografica di cui parla McLuhan, cioè il nostro Dante Alighieri che descrive le sue emozioni nel II capitolo della Vita nuova.
Ma nella condizione dell’oralità secondaria le ipostasi devono attraversare i cambiamenti di pensiero portati dall’invenzione della tipografia, e così un po’ alla volta oggi il distacco della persona da sé stessa è diventato più o meno totale e si attacca a quello scorporo della mente dal corpo che è il dualismo cartesiano, altra impresa filosofica fondamentalmente compiuta dalla tipografia. Solo che l’epoca tipografica divideva il corpo dalla mente dando una importanza massima al pensiero, mentre l’oralità secondaria trasforma il corpo in una macchina senza mente, vedi nel blog Marshall McLuhan, La sposa meccanica, e vedi le nuove tendenze del body tracking.
E c’è anche l’importantissima faccenda delle modalità di pensiero paratattiche e ipotattiche, che potrebbero essere anche queste utilizzate per una riflessione sulla destrutturazione del pensiero effettuata dai giornali e dalla televisione, con un riferimento alla perdita di sintassi di cui parla Marshall McLuhan nel capitolo sulla Fotografia di Gli strumenti del comunicare.
Insomma Eric Havelock ci fa vedere come i Greci abbiano dovuto fare un lavoro enorme per passare dalla doxa alla sofia, dall’impressione delle cose sensibili alla conoscenza certa delle cose in sé, e possiamo vedere che adesso la possibilità della conoscenza delle cose in sé e della certezza se ne stanno andando a farsi benedire con l’aiuto della televisione nelle sue manifestazioni più fredde (vedi ancora Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare) che secondo me sono i reality, che presentano argomentazioni e discorsi con un andamento totalmente paratattico, in cui cioè l’argomentazione si sviluppa come spiega Havelock attraverso l’aggiunta di nuove parole che sfruttano o variano associazioni già presenti in parole precedenti, su un principio di variazione dell’identico, e probabilmente proprio per questo generano una partecipazione forse non molto diversa da quella che veniva richiesta dalle recitazioni pubbliche dell’epica omerica, che secondo Havelock avevano anche e forse essenzialmente la funzione di ricapitolare l’insieme delle conoscenze e delle tradizioni del popolo greco disperso dopo le invasioni doriche, e di ricostituirne il senso di unità.
A ciò si aggiunge la lotta di Platone contro l’etica dei poemi omerici, parola di cui Havelock ci mostra la derivazione dal concetto di abitudine domestica piuttosto che di insieme di regole, etica omerica basata essenzialmente sull’opinione degli altri, e anche questo è un fenomeno che sta attraversando ai nostri tempi uno sviluppo decisamente importante.
Tutto sommato stanno capitando un sacco di cose abbastanza sorprendenti e non tanto facili da comprendere, soprattutto nel modo di pensare delle generazioni più recenti, e chissà cosa sta succedendo nelle menti dei bambini.
E da questo libro di Eric Havelock possiamo trarre un bell’aiuto a comprendere il mondo e a comprendere meglio noi stessi. (bamborino)

C’è un abominevole soddisfi a pag. 56, che però è riportato dalla traduzione dell’Iliade di Rosa Calzecchi Onesti, ma c’è anche un bellissimo imprestiti a pag. 147. E personalmente avrei gradito che si facesse la distinzione tra famigliare con la sua bella g per intendere cose attinenti alla famiglia e familiare nel senso di ben noto. Ma sono felice e batto le mani alla traduzione di Mario Carpitella per la strage di congiuntivi che corre per tutto il testo, strage fatta secondo me di volta in volta in modo più che appropriato e che per fare un esempio arriva a un vertice di assoluta eleganza a pag. 124.
Mi dispiace infine che nel 1963 un genio come Eric Havelock non si sia reso conto che nell’analogia tra oralità e musica moderna, oltre al jazz di cui parla a pag. 121, era arrivata da un pezzo la bomba del rock.




Leggere ci cambia la vita, e questo, a sua volta, cambia il nostro modo di leggere. (Maryanne Wolf, Proust e il calamaro)

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