sabato 5 maggio 2012

Lev Tolstoj


Lev Nicolaevič Tolstoj, Anna Karenina. (Garzanti)
Non mi sogno nemmeno di ricordare la grandezza di quest’opera né di parlare dell’incipit più famoso della storia della letteratura. Casomai posso fare un’osservazione personale sul disprezzo quasi flaubertiano di cui Tolstoj ricopre quasi tutti, mostrando un po’ di pietà per quel personaggio veramente titanico che per me è il marito di Anna, e affetto e ammirazione per la non meno titanica Dolly.
Però rileggendo Anna Karenina dopo un bel tot di anni mi è partita qualche riflessione sul matrimonio e da qui mi sono trovato a pensare alla mia giovinezza, passata quando alle elementari si stava mezza giornata, si facevano i compiti in fretta e senza l’aiuto di mamma e papà e poi si poteva giocare e alla fine davano solo i voti, la scuola allora era così e mio padre e mia madre mi lasciavano in pace, ma dopo qualche anno le cose per i bambini erano cambiate parecchio e mi ricordo bene l’incubo ripetuto di dover sopportare che gente che aveva studiato meno di me si esibisse nell’esprimere dei cosiddetti giudizi sui miei figli. Per non dire poi delle superiori e dell’università, per noi boomer è stato tutto molto ma molto più facile di adesso, o forse poi neanche tanto più facile ma sicuramente meno rigido e disumano.
Tempi felici in cui i bambini nascevano in generale dopo che i genitori s’erano sposati, magari non proprio nove mesi dopo, ma comunque dopo, e in quei felici tempi noi giovani, felici giovani, non eravamo obbligati, per sposarci in chiesa, a passare sotto le forche caudine dei corsi prematrimoniali, sotto le quali poi siamo stati obbligati a passare da vecchi, partecipando con altri poveracci come noi all’Incontro Con i Genitori.
Nel 1974 Earl Butz, Segretario dell’Agricoltura degli Stati Uniti, partecipò alla Conferenza internazionale sull’alimentazione a Roma, e in quella circostanza commentò le posizioni del Papa sul controllo delle nascite dicendo, in un inglese che prendeva in giro l’accento italiano, “He no playa da game, he no maka da rules” cioè, non partecipa al gioco e non fa le regole. Aneddoto riportato in Senti questa di Jim Holt.
D’altra parte, molti anni prima di Earl Butz, nel suo romanzo Tom Jones Henry Fielding aveva scritto, Book V Chapter I, che it seems, perhaps, difficult to conceive that anyone should have had enough of impudence (impudence), to lay down dogmatic rules in any art or science without the least foundation.
E questo è il punto.
Io sono d’accordo con Earl Butz e con Henry Fielding, e siccome credo che nella vita un pochino conti anche l’esperienza, dico la solita banalità che è ridicolo che i corsi prematrimoniali siano fatti o perlomeno diretti da gente che non solo non è sposata ma si suppone che non si sia mai occupata direttamente nemmeno delle attività che di solito precedono la costituzione della famiglia e la nascita dei bambini. Ma alla banalità aggiungo che data la loro mancanza di esperienza, i docenti dei corsi prematrimoniali potrebbero almeno dotarsi di validi libri di testo, e non credo che ci sia, sul matrimonio, un libro di testo più completo ed esauriente (esauriente, non esaustivo) di Anna Karenina.
Tenendo presente un altro fatto strano, che non cessa di stupirmi da quasi tutta la vita, e che in un certo senso giustifica la direzione dei corsi prematrimoniali da parte di persone che del matrimonio e di quella cosa che in esso si dovrebbe fare spesso, o meno spesso, ma comunque fare, di questa cosa almeno ufficialmente non dovrebbero sapere niente. Cioè il fatto strano è che questo argomento, cioè i rapporti tra uomini e donne con particolare riferimento al sesso e con eventuale riferimento a quello che si può chiamare amore nelle sue diverse forme, gode (sic) di uno status tutto particolare.
Così si può vedere che ad esempio per quello che riguarda la progettazione dei ponti (tanto per dire una cosa a caso) chi non è ingegnere e non ha mai progettato ponti, se si tocca l’argomento di solito se ne sta zitto. Mentre sull’argomento di cui sopra, accade con una notevole frequenza che tanto meno uno/a l’ha praticato, tanto più ne parli e tanto più facilmente esprima giudizi o perlomeno opinioni molto forti. Giungendo addirittura a manifestare apertamente il proprio disprezzo per coloro che sull’argomento si trovano ad avere conoscenze ed esperienze più vaste e multiformi della media.
Su questo argomento in Anna Karenina c’è tutto, o quasi tutto.
C’è il marito cronicamente infedele, c’è il marito cornuto, c’è la consigliera del marito cornuto, c’è la moglie cronicamente cornuta che sopporta ma che forse sottosotto è ancora innamorata, ci sono quelli che convivono senza essere sposati, c’è la passione travolgente che distrugge un matrimonio, c’è la mamma che ama i suoi figli e la mamma che si racconta che li ama ma in realtà se ne frega.
C’è il cretino che cerca moglie e riesce a trovarla, una cretina come lui, tutti e due in realtà innamorati d’altre persone cioè secondo René Girard in Menzogna romantica e verità romanzesca sono in preda a una mediazione interna e che hanno una tale spinta bovaristica o verso il grande amore e verso la famiglia felice che insieme se la raccontano a tutto spiano.
Insomma ci sono un sacco di varianti della comune miseria esistenziale, che nei corsi prematrimoniali potrebbero essere esaminate e discusse con qualche profitto dai giovani che si sposano per la prima volta.
Come del resto potrebbero essere esaminate e discusse nei corsi di psicologia, dove i libri di testo non sono mai i grandi romanzi ma manuali più o meno ponderosi in cui la riflessione sull’uomo del pensiero occidentale quando va bene comincia da Sigmund Freud e quando va meno bene comincia da John Bowlby .
E qui vale secondo me la pena di introdurre un altro argomento che si sente spesso dibattere in conversazioni sia ad alto che a basso livello, che è quello del rapporto tra la lettura di romanzi, romanzi di questa portata s’intende, e l’esperienza esistenziale.
C’è chi sostiene che l’esperienza vera, quella da cui si impara qualcosa, può venire solo dalla vita e dal parlare con le persone.
E c’è chi sostiene come Walter Ong in Conversazione sul linguaggio che la lettura della narrativa di altissimo livello, secondo me soprattutto la lettura del romanzo dell’Ottocento che offre una struttura di presentazione della realtà che è andata perduta nella narrativa successiva, cioè il punto di vista e la tridimensionalità di cui parla Marshall McLuhan in La galassia Gutenberg, e una completa articolazione delle vicende le une nelle altre con una valutazione approfondita delle motivazioni ad agire dei personaggi, c’è chi sostiene che questo genere di lettura sia come vivere e come parlare con le persone.
Come e meglio che parlare con le persone, perché i grandi scrittori sono anch’essi persone che esprimono opinioni sul mondo sull’uomo e sulla vita, e sono persone che bene o male sono state capaci di scrivere un romanzo, e quindi conoscere le parole dei grandi scrittori in generale può essere molto più interessante e istruttivo dal punto di vista esistenziale, nonché infinitamente meno noioso, che ascoltare le persone qualsiasi.
E come e meglio che vivere.
Perché anche quando viviamo, come dice Humberto Maturana noi esistiamo nel linguaggio, e di linguaggio sono fatte le comunicazioni dei nostri conoscenti e le comunicazioni dei grandi scrittori.
Lo diceva la signora Ellen Dean parlando con il signor Lockwood in un romanzo famoso, che anche se era solo una serva ignorante e vedeva sempre le stesse facce aveva letto tanti libri e così aveva imparato a osservare e a comprendere meglio le persone e poi lo diceva anche Gustave Flaubert e prima di loro aveva cominciato a dirlo Wilhelm von Humboldt.
Tutti questi, quando di neurofisiologia non si sapeva quasi niente.
E adesso provate a fare un esperimento.
Provate a ricordare un episodio della vostra vita. Avete un’immagine mentale che è dotata di un determinato livello di definizione. Quindi provate a immaginare di fare una cosa qualsiasi che non avete mai fatto. Avrete un’immagine mentale che, se la considerate con attenzione, ha lo stesso livello di definizione del vostro ricordo di poco fa.
Per essere più chiaro e per stare in un campo dell’umano esperire che mi è particolarmente caro e familiare e che è anche il campo di cui si occupa specificamente Tolstoj in questo romanzo, se penso all’ultima volta che ho fatto l’amore in macchina, tantissimi anni fa, la scena mi si svolge nella mente con una certa chiarezza e con una sua dettagliosità, cioè tutto sommato poca chiarezza e scarsa definizione.
E se adesso mi metto a pensare come potrebbe essere fare l’amore con mettiamo Isabelle Huppert che dalla prima volta che l’ho vista in un film non ha fatto che invecchiare sempre più splendidamente e non ha mai smesso di piacermi in crescendo, e tra come l’ho vista in I cancelli del cielo e in La pianista sceglierei senza un istante di dubbio La pianista, tutta la sequenza mi si forma in mente proprio con lo stesso livello di definizione scarsamente definita e di precisione imprecisa del ricordo vero e proprio. Ammesso che il ricordo sia vero, vedi quel che dice della memoria Michael Gazzaniga in La mente etica.
A questo punto mi fermo e torno indietro, cioè provo a ricordarmi il mio ricordo della scopata in macchina e il mio ricordo di Isabelle Huppert, e il gioco è fatto.
Tutte e due le scene sono diventate parte della mia memoria, sempre con lo stesso livello di definizione visiva mentale.  Cioè sono diventate rappresentazioni mentali, che sono l’unico materiale su cui noi ci troviamo a basare la nostra osservazione della realtà, come dicono i fenomenologi. E la cosa essenziale qui è che gli studi di neurofisiologia sostengono che le immagini che noi richiamiamo dalla memoria e dall’immaginazione abbiano origine da quelli che Antonio Damasio in L’errore di Cartesio chiama schemi neurali di rappresentazioni disposizionali, posti in zone di convergenza delle cortecce associative superiori del cervello e quindi avrebbero lo stesso grado di definizione pittorica perché hanno la stessa natura e sono generate e gestite dalle stesse entità neurali corticali.
In sostanza, come dice Damasio, tutta roba costruita dal cervello. E, aggiungo io, dal cervello costruita nell’ambito del linguaggio.
E noi non abbiamo vita interiore se non nella nostra esperienza mentale cioè nella nostra esperienza vera e propria, perché non abbiamo esperienza di esperienze se non di quello che ci costituisce come persone attraverso quello che in qualche modo rimane depositato nella memoria.
Così, signore e signori, facciamo un balzo in quello che dice Maurice Merleau-Ponty e soprattutto Humberto Maturana con il suo discorso sul mettere la realtà tra parentesi, che è poi il discorso della fenomenologia.
E in un certo senso anche Antonio Damasio entra nella banda dei fenomenologi quando dice che non sappiamo, ed è improbabile che un giorno riusciremo a sapere, quale sia la realtà assoluta.
Quindi con l’autorevole sostegno della fenomenologia e della moderna neurofisiologia io affermo che leggere romanzi e ricordare quello che si è letto e rifletterci sopra è esattamente come vivere. Se non è addirittura meglio, per quello che riguarda gli insegnamenti che se ne possono trarre, perché il discorso sulla realtà che ci presentano i romanzi è in generale dotato di un livello di approfondimento ben superiore alle nostra immediate modeste capacità di riflessione.
Con la maligna aggiunta personale che per quel che mi è sempre capitato di vedere, questi qui che dicono che si impara  solo dalle esperienze e dal parlare con la gente e che vivere è molto meglio che leggere romanzi, di solito oltre a non aver letto romanzi non è che abbiano fatto tutto questo gran vivere e di esperienze ne hanno fatte ben poche e sono abituati a frequentare conversazioni che non si imperniano se non sul reciproco racconto di irrilevanti fatti personali.
Chiudo così tornando all’utilità di leggere Anna Karenina per corroborare e approfondire i propri eventuali pensieri su un campo esistenziale in cui comunque si spera che tutti si facciano almeno un minimo di esperienze personali.
Traendone l’osservazione che l’amore passa sempre attraverso le zone sotto l’ombelico e quasi sempre fa danni, e che quelli che sanno bene cosa stanno facendo quando si sposano, tipo costruire qualcosa insieme e altri simili luoghi comuni, in realtà quello che fanno lo sanno ancora meno degli altri perché molto spesso sono solo due cretini che credono di avere le idee chiare in un campo in cui non è possibile averle, e in cui comunque le idee chiare sono generalmente segno, da sempre e come insegna tutta la letteratura, solo di ristrettezza mentale.
Cioè il matrimonio è un casino e le corna fatte e prese bisogna sempre tenerle presente come opzione futura e tante volte bisogna accontentarsi e cercare di fare in modo che alla fine il treno non diventi, come dice Agota Kristof in Trilogia della città di K, una buona idea. (bamborino)
Quasi tutti gli uomini godono di una polverosa sopravvivenza negli elenchi telefonici (è una grazia che il British Museum li conservi); nel fatto puro e semplice della loro esistenza vi è minor verità e messe di vita che in Falstaff o in Madame de Guermantes. (George Steiner, Linguaggio e silenzio)

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