Marc Augé, Il metrò rivisitato. (Raffaello Cortina Editore)
Più di vent’anni dopo ➲ Un etnologo nel metrò, questo testo forse potrebbe essere considerato un’ostentazione di senescenza. E in effetti Marc Augé qui ne parla molto, del proprio invecchiamento, della propria posizione rispetto a una contemporaneità nei cui confronti non sa come situarsi. Ma sostanzialmente parla solo di questo, e non va al di là di una specie di flusso di coscienza metropolitano (sic) che da una fermata a un’altra, da un quartiere a un altro si sposta tra l’infanzia e l’età adulta.
Molto gradevole dal punto di vista letterario come è sempre Marc Augé, con qualche osservazione agghiacciante come la constatazione valida per Parigi come per Milano del sempre più diffuso, rispetto a vent’anni fa, aspetto di stanchezza e di tristezza, oltre che di povertà, dei passeggeri che si vedono all’ora di punta. Ma il libretto è praticamente esente da qualsiasi riflessione antropologica o sociologica o storica che Augé non abbia già approfondito altrove, e l’unica ma pregevolissima nota di originalità è una riflessione sul rapporto tra l’autore e la propria opera, e tra l’autore e il lettore, e tra il lettore e l’opera in questione.
Che poi, se vogliamo, è ancora una riflessione su sé stesso nel tempo, attraverso il rapporto che si crea con i propri scritti.
E tra parentesi veniamo a sapere che, ancora a Parigi come a Milano, a leggere in metropolitana sono quasi solo le donne. (bamborino)
I tassisti d’oggi sono loquaci come i barbieri di una volta. (Vladimir Nabokov, Fuoco pallido)
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