martedì 9 ottobre 2012

Walter Benjamin


Walter Benjamin, Infanzia berlinese. (Einaudi)

Un oggetto di profondo infinito piacere.
Il colore della copertina senza immagini che mostra solo l’armonia della stampa del titolo. La meravigliosa morbida sensazione di delicata compattezza di tutto il libro che si apre e si legge e torna a richiudersi ogni volta come nuovo senza fratture né irrigidimenti. La carta leggermente ruvida, si potrebbe dire tra le seta e il velluto ma il confronto con i tessuti attraversa altre pertinenze, l’abbigliamento non contiene le promesse ulteriori delle parole del testo.
Perché alla meraviglia tra le dita corrisponde la meraviglia che dagli occhi si trasferisce nella mente.
La meraviglia del testo, pezzi di ricordi, strade, case, persone intraviste, rumori, luci, musica, oggetti. Brani di due o tre pagine al massimo, spesso meno di una pagina.
Un libro che sicuramente è un libro diverso per ogni diverso lettore.
In queste pagine si entra indipendentemente da tutto quello che c’è fuori. Ci si sveglia al mattino, si va a scuola, si sta a letto con la febbre, si dorme, si sogna, si esce con la mamma, si va a teatro, si guardano le strade, si infila la mano in un cassetto. Ci si fa portar via ogni volta.
L’infanzia di Walter Benjamin è una cosa sua, come la nostra infanzia è solo nostra. Mentre leggevo mi dicevo, guarda quante cose si ricorda questo qui, io della mia infanzia non mi ricordo quasi niente. Poi ci ho pensato su, mi è venuto in mente che di ricordi di momenti ne ho anch’io, pochissimi ma qualcuno ce l’ho, e se mi fermo a ricordare questi momenti, come in Infanzia berlinese anche nella mia memoria la scena si apre, e l’adulto che sono si sposta anche lui a ritrovare sé stesso, come Benjamin, nella scatola dei bottoni o nelle illustrazioni dei primi libri o nella lampadina della sera, sul comodino.
Poi alla fine si leggeranno le postfazioni, si potranno fare delle riflessioni sulle differenze tra Walter Benjamin e Marcel Proust.
E dopo le riflessioni sulle differenze magari verrà in mente una vicinanza tra Proust e Benjamin, che queste due opere di ripiegamento nella memoria si generano entrambe subito prima delle due catastrofi immense delle guerre mondiali. Forse per distogliere lo sguardo dal bagno di sangue del Novecento. Forse per domandarsi se c’era stato qualcosa, prima, che l’aveva preparato.
Si possono fare un sacco di pensieri. Come sempre quando si legge un capolavoro.
Si può anche non pensare a niente, e lasciarsi andare nella Bellezza. (bamborino)

C’è una spaziatura (si dice così?) sbagliata a pag. 66.




Se una delle nostre facoltà può dirsi più meravigliosa delle altre, questa è la memoria, penso. Nei suoi poteri, nelle sue deficienze, nella sua mutabilità sembra esservi qualcosa di più misterioso che in ogni altra attività della nostra mente. La memoria è a volta così tenace, così servizievole, così obbediente, e altre volte così confusa e così debole - e altre volte così tirannica, così incontrollabile!... Siamo certamente un miracolo da tutti i punti di vista, ma la natura della nostra facoltà di ricordare e di dimenticare sembra veramente al di là di ogni comprensione. (Jane Austen, Mansfield Park)

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