giovedì 7 marzo 2013

Dostoevskij


Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Il giocatore. (Einaudi)

Se con tutti quei personaggi che fanno un sacco di scene, tipo anche qui il protagonista narratore che quasi sempre invece di parlare grida, o la solita donna che piange e ride e che per amore o per altre balle esistenziali si ammala e per poco non ci lascia la pelle, o le tirate sul carattere dei russi, ma qui di questa roba ce n’è poca e quel poco non dà fastidio, se con tutte queste cose e anche con le sue menate pseudoetiche da antisemita misticheggiante (per un campionario degli insulti affibbiati a Dostoevskij dalla critica letteraria, vedi il post su I fratelli Karamazov e vedi anche Il Dostoevskij di Joseph Frank in Considera l'aragosta di David Foster Wallace), se per tutto questo Dostoevskji ogni tanto pesa un po’ e francamente rompe le balle e magari verrebbe anche voglia di prenderlo a sberle, ecco, malgrado tutto questo per me Dostoevskij, dopo tutta la roba che ho letto, decine di romanzi e centinaia di racconti inglesi e irlandesi e francesi e americani e il resto, dopo tutto questo gli anni passano e continuo a dirmi che come scrive lui non scrive nessuno.
Forte.
Per quel che mi riguarda credo che sia questo, forte, l’aggettivo più giusto per Dostoevskij. Una forza senza nome e senza ulteriori possibilità di specificazione, come qui la prima frase, “Finalmente ero ritornato, dopo un’assenza di due settimane”. Così, finalmente il precettore è tornato, e di colpo ci troviamo in mezzo a una storia in sospeso, sta succedendo qualcosa e ci siamo fermati un momento, siamo di nuovo in mezzo a tutto e si ricomincia a ballare, non so, per me la forza è questa roba qui.
E da lì si va avanti, come al solito con la sua tecnica fantastica di far muovere i fatti non solo attraverso l’avvenimento narrato direttamente ma anche attraverso le narrazioni che si scambiano i personaggi.
Ma lasciamo perdere.
Dico solo che Il giocatore è una narrazione in prima persona, come una specie di diario, e che se qualcuno vuole cominciare a leggere Dostoevskij secondo me da questo romanzino che forse in realtà è un racconto lunghissimo perché finisce senza chiudere niente, e forse è ancora più meraviglioso per questo suo situarsi in un territorio narrativo indeterminato tra il romanzo e il racconto, se si vuole cominciare Dostoevskij da qui secondo me si parte proprio bene. E non sono proprio sicurissimo del ricordo, ma credo di essere partito anch’io da qui, non dico quanti anni fa.
E siccome quando l’avevo letto tanti anni fa non avevo capito niente, adesso che l’ho riletto mi prendo la libertà di suggerire di leggere il fondamentale Dostoevskij dal doppio all'unità di René Girard che mostra la posizione di Il giocatore nel percorso esistenziale e letterario di Dostoevskij, tra l’altro evidenziando il rapporto che c’è nella sua opera tra il denaro e l’erotismo.
Ma vorrei consigliare anche un lettura del tutto non contestualizzata, cioè propongo di dimenticare che è un romanzo russo dell’Ottocento (ma credo che con le solitudini di Dostoevskij e soprattutto con Il giocatore comincino i primi germogli di un certo tipo di romanzo del Novecento) e di leggerlo come se fosse un romanzo fuori dal tempo. Così ci si accorgerà che il precettore Aleksej Ivanovič è uno scazzato che si butta via, che il noiosissimo Dean Moriarty di Jack Kerouac non gli lecca nemmeno le suole delle scarpe.
In più, ci metto che nel capitolo XI Dostoevskij tratteggia in poche parole la confusione mentale dell’innamoramento come solo lui poteva fare, e ci metto il personaggio della nonna, grandiosa non tanto quando è grandiosa ma dopo, quando crolla.
Insomma chi l’ha già letto è ora di rileggerlo, e chi non l’ha ancora letto farà bene ad affrettarsi. (blifil)

A pag. 5 manca un punto, a pag. 65 c’è essa invece di ella, a pag. 101 c’è una riga di spazio fuori posto, a pag. 60 e a pag. 137 si dice un’ora e mezzo, che questa cosa come al solito proprio non si riesce a capirla, che si dice una mela e mezza, ma la mezz'ora deve prendere questo osceno maschile editoriale.





It sometimes happens that men run away, - sometimes to be rid of others, and sometimes to be rid of themselves. (William Austin, Peter Rugg, the Missing Man)

Nessun commento:

Posta un commento