Henry Roth, Chiamalo sonno. (Garzanti)
Una domenica mattina.
Qualcuno suonava una tromba, probabilmente sul piazzale della chiesa qui vicino, per tirar su qualche soldo dalla gente che va a Messa.
Poi si sentono le campane, mentre sto parlando al telefono. Che bello le campane, mi dice chi sta parlando con me. Nell’aria di primavera ancora fresca.
E nella mattina che diventa sempre più luminosa mi è tornato in mente questo romanzo che ho letto quasi dieci anni fa.
Perché Chiamalo sonno è così.
Un momento di calma e di freschezza leggera e un po’ triste che si può trovare tutte le volte che si apre il libro e ci si mette a leggere.
Anche se è una storia dura. Durissima e pesante. La storia di un bambino che comincia a crescere a New York agli inizi del Novecento nel quartiere degli ebrei immigrati. La scoperta della vita, dei misteri che ci sono negli oggetti e nelle persone.
La storia scialba della zia, la storia drammatica della madre, il padre oscuro e lontano, gli altri bambini, la scuola, le strade, i cortili.
Il libro si apre, ci scivola nella testa e ci sale dentro come l’acqua in un serbatoio, il livello si alza fino a che diventiamo David e viviamo con lui.
E come lui ci rendiamo conto che i rubinetti del lavandino sono sempre stati troppo in alto per noi. (moll)
La storia della vita di uno è uguale a quello che ha più quello che desidera più di tutto al mondo, meno quello che è davvero disposto a sacrificare per ottenerlo. Se di una persona riesci a sapere queste cose, saprai quasi tutto. (Craig Clevenger, Manuale del contorsionista)
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