Henry James, Autobiografia degli anni di mezzo. (Mattioli 1885)
Se non ho capito male si tratta di un pezzo, l'unico pezzo, di un'autobiografia mai scritta, che se può avere qualche rilievo per chi conosce e ama Henry James, non ne ha affatto per chi non lo conosce.
Anzi. Direi proprio che chi non conosce Henry James, per quel che riguarda questo libro, meglio astenersi.
Perché a chi conosce Henry James, incontrarlo in queste pagine fa più o meno esattamente l'effetto che ha fatto a lui incontrare il grande Tennyson, il Bardo, il grande Poeta che poi conosciuto di persona gli era apparso ben povera cosa.
Così qui ci si incontra con una prosa boriosa e involuta, periodi arzigogolati al limite dell'incomprensibile, spesso da rileggere e non si capisce niente lo stesso.
Boria personale e boria sociale.
Ma dalla boria sociale esce la presenza che si sta facendo sempre meno concreta di un mondo di sicurezze aristocratiche che già vacillava e verrà spazzato via completamente dalla Prima Guerra Mondiale. E Henry James riesce a parlarne quasi senza descriverlo, ma in qualche modo potente fa arrivare fino a noi tutto il profumo distaccato e leggermente stantio di un popolo di morti, nel momento dell'agonia.
E così ci troviamo a dover riconoscere ancora una volta la grandezza di Henry James, perché forse quella prosa involuta è l'unico modo di parlare, o di non parlare, dell'avvicinarsi della catastrofe del Novecento. (bamborino)
C'è un solo errore, abbastanza pesante. A pag. 51 c'è a invece di da, con conseguente incomprensibilità della frase. Ma sarebbe bastato tradurre l'unaccompanied del testo originale, che chi vuole lo può leggere a questo link qui ed è certo molto più bello che in italiano, tradurre non accompagnato invece di non seguito, che tutto filava via molto più liscio e senza sbagli, perché in questo caso andava bene sia a che da.
Il passato non vale più di un sogno altrui. (Juan Carlos Onetti, Gli addii)
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