giovedì 19 settembre 2013

Daniyal Mueenuddin


Daniyal Mueenuddin, Altre stanze, altre meraviglie. (Mondadori)

Narrazione di ritmo lento, tranquillo. Scandita dalla gestualità dei personaggi, e anche questi sono movimenti lenti, morbidi, precisi. Come se non ci fosse una frase o un gesto che non è il risultato di una precedente meditazione.
Sono storie collegate tra loro da un personaggio, il proprietario terriero K. K. Harouni. Tutto succede nelle sue terre, nella sua casa, o in qualche modo intorno a lui. In Pakistan.
Così scopriamo che di un paese islamico si possono scrivere storie in cui si scopa da tutte le parti cioè dentro e fuori dal matrimonio, si bevono alcolici a tutto spiano e si fumano canne.
Viene in mente Palazzo Yacoubian di ‘Ala al-Aswani per la somiglianza di struttura. E viene in mente che la struttura a storie collegate ma indipendenti potrebbe riflettere anche in questo caso la perdita di struttura di una società che si trova a passare senza intervalli dal feudalesimo e dal colonialismo al capitalismo globalizzato. Trovandosi così in una condizione che pare si stia gradualmente presentando anche da noi, cioè la divisione in ricchissimi e poverissimi.
In queste storie non si può nemmeno parlare di presenza della corruzione e della malversazione a tutti i livelli, polizia magistratura e politica. Si deve rilevare che semplicemente tutti rubano e imbrogliano appena possono o sono stati derubati e imbrogliati, tanto che i due personaggi più simpatici sono un elettricista che imbroglia la società che distribuisce l’energia e un poveraccio che viene fregato e maltrattato da tutti per tutta la vita. Così viene in mente ancora Palazzo Yacoubian, che in un certo senso indica nell’integralismo islamico l’unica reazione possibile a questo stato di cose.
Con una particolarità, di questo Altre stanze, altre meraviglie, che mi ha lasciato perplessa. Su otto storie, ce ne sono ben tre che hanno come elemento centrale le relazioni di donne giovani con uomini non giovani se non addirittura vecchi. Che anche questa potrebbe essere una tendenza in graduale aumento anche qui da noi. (moll)

A pag. 179 c’è il château, che secondo me dovrebbe essere lo château e a pag. 230 ci sono due alternative, che è un errore diffusissimo, questo delle due alternative, e tuttavia ridicolo, perché l’alternativa è tra due cose, e quindi è una, e due alternative vorrebbe semmai dire due possibilità tra quattro cose.
Poi c’è, per tutto il libro, lo strazio di una sfilza di parole pakistane di cui non viene spiegato il significato. Kurta, dupatta, chapati, chaudrey, maulvi, purdah, umra, tonga, janaza, salwar, dhurrie, mehndi, charpoy, dera, pilau, halva, tikka, haleem, dai balak, taka tak, shadi, valima, shervani, diya, nikah, samosa, laddu, gulab jahun, barfi, shahi tukka, fatiha e forse non le ho messe tutte. Boh. Se qualcuno vuol dare una mano, grazie.




La morte, in fin dei conti, è solo cosa per matematici puri. (Thomas Bernhard, Amras)

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