lunedì 22 dicembre 2014

Henry James


Henry James, Il giro di vite. (Rizzoli)

In questo libro si parla dello sguardo, dice Michel Foucault all’inizio di Nascita della clinica.
Henry James ha parlato dello sguardo, lo sguardo di Winterbourne, in Daisy Miller. Ha parlato della distanza in Il carteggio Aspern.
Il giro di vite parla dello sguardo, e parla della distanza.
Lo sguardo degli spettri, lo sguardo dell’istitutrice, gli sguardi dei due bambini.
E la distanza si manifesta subito, perché la storia che viene raccontata in una sera d’inverno è stata raccontata a chi la racconta da uno scritto di un’altra persona, tanti anni fa, la persona che l’aveva vissuta tanti anni prima. E il manoscritto non è lì, e bisogna mandare a prenderlo a Londra, dove si trova chiuso a chiave in un cassetto.
Poi ci sarà la distanza delle reciproche indicibili irraggiungibilità. La distanza dello zio dei bambini, dichiarata come volutamente insuperabile. La distanza degli spettri e la distanza dei due bambini dagli adulti con cui vivono.
Alla fine la distanza si annulla. Anche fisicamente. E l’annullamento della distanza è proprio la fine, la fine di tutto.
Intanto saremo stati subissati di parole e avremo attraversato silenzi di indescrivibile vastità.
Ho già detto per Ritratto di signora che probabilmente Henry James rappresenta il punto più alto di quella che Marshall McLuhan Marshall McLuhan ha chiamato l’Epoca Tipografica.
Così già prima della comparsa dei capolavori della letteratura autoreferenziale, vedi La Nausea di Jean-Paul Sartre, Justine di Lawrence Durrell e Fuoco pallido di Vladimir Nabokov, nei quali per gradi successivi il testo va incontro ad una dislocazione sempre più spiccata rispetto alla sua evidenza cartacea e a possibilità di delimitazione e di definizione sempre più elusive, Henry James in Il giro di vite in qualche modo sposta il testo in una zona non perfettamente localizzabile rispetto alla pagina scritta.
Perché qui il testo è una narrazione di fatti non del tutto certi anche per la narratrice stessa, che quindi racconta in modo tale da generare dei dubbi anche nei lettori. Ora, il dubbio riguarda la verità o la falsità della narrazione, ed è un fatto, che un dubbio sulla falsità o la verità di una storia d’invenzione non ha senso. Cioè, ritenere vera la storia comporta una presa di posizione sull’esistenza dei fantasmi, e del resto anche una volta che si sia presa questa posizione, non è detto che l’istitutrice di Bly racconti fatti veri, e non sue personali immaginazioni, o ricordi che si sono distorti nel tempo.
Così ci troviamo di fronte alla possibilità di rifiutarci di accettare la verità della narrazione dell’istitutrice, mentre mandiamo giù come vera la narrazione di Henry James, e più ci si pensa o se ne parla, più difficile diventa sapere con certezza di cosa si sta parlando. Incertezza che in Fuoco pallido e nelle ultime pagine di La nausea diventa totale, mentre ci rendiamo conto che anche Henry James ha messo un testo dentro un altro testo.
Con la differenza che nel caso di Il giro di vite il testo che contiene l’altro è la nostra mente.
Il testo che contiene l’altro, o che ne viene contenuto. Non si sa. (bamborino)

Ho letto il libro in inglese, nell’edizione Giunti, che ha una bellissima e inquietante immagine di copertina.
Raccomando l’edizione Rizzoli perché, a differenza delle edizioni Mondadori e Einaudi, non contiene madornali e protervi errori di traduzione.
In Mondadori e in Einaudi, nel capitolo XXI “turn on”, che per tutti i dizionari che ho consultato, cioè Oxford Mini English Dictionary, Concise Oxford English Dictionary, Oxford Dictionary of English, Shorter Oxford English Dictionary, New American Oxford Dictionary, e OED online (ho anche quello), significa “suddenly attack” e nel mio amatissimo Hornby's Advanced Learner’s Oxford Dictionary of Current English Second Edition 1963 è “become hostile”, diventa inspiegabilmente “confidarsi”. In più, sia nel Mondadori che nell’Einaudi, attuando con ciò un intervento violentissimo che porta il lettore italiano ad una posizione, nei confronti dell’interpretazione del testo, che non è quella del lettore inglese e tantomeno è quella di Henry James, nella crucialità dell’ultima fondamentalissima tremenda riga di questo racconto, “dispossessed” viene ancor più inspiegabilmente tradotto “sfinito” nel Mondadori e “spezzato” nell’Einaudi, e oltretutto nell’Einaudi che le cose prendevano una brutta piega si poteva capire già dalla decisione di cambiare il titolo eliminando l’articolo.
Anche se bisogna dire che forse le cose stanno anche peggio di quel che sembra, perché la scelta di traduzione potrebbe avere il significato di una scelta di interpretazione del racconto, scelta decisamente inammissibile perché spazza via la caratteristica forse più importante dell’opera, che è la continua inquietante ambiguità.
Nell’edizione Feltrinelli c’è l’aggiunta di una nota di simpatica comicità, in un breve scritto finale della traduttrice Fausta Cialente, che dice che i bambini sono perseguitati a loro volta, loro volta non si capisce con riferimento a chi altro, e ci avverte del fantasma di un’istitutrice già morta, casomai ci venisse il dubbio che si tratti del fantasma di un’istitutrice ancora viva.
L’edizione Rizzoli è provvista anche di un notevole apparato critico, con commenti al testo che vanno da Henry James stesso a Virginia Woolf a Edmund Wilson a Tzvetan Todorov, preceduti da un trascurabile scritto di Pietro Citati, che parla di Henry James dall’alto secondo le migliori tradizioni nazionali, e contiene il non trascurabile errore dell’attribuzione a Emily Brontë del romanzo sull’istitutrice, che invece è Agnes Grey di Anne Brontë.
Si raccomanda vivamente di tenersi lontani dall’apparato critico prima di aver letto l’opera, per evitare di incorrere in uno spoileraggio totale, che in questo caso sarebbe tragicamente dannoso.
Facendo notare, a questo proposito, che nel suo breve saggio un critico della stazza nientemeno che di Edmund Wilson, travisa completamente i fatti a proposito della importantissima questione della lettera trafugata, e considera irrilevante una delle scene più inquietanti dell’opera, quella che riguarda la notizia dell’allontanamento dalla scuola di Miles, stravolgendo così il senso della narrazione.




La cosa più terribile non è la morte, ma i ricordi. (Christos Ikonomou, Un cartello su un manico di scopa)

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