martedì 3 aprile 2012

Noam Chomsky

Noam Chomsky, Linguaggio e problemi della conoscenza. (il Mulino)

Per un ignorante quale io sono, questo libro è stato innanzitutto l’occasione di una bella ginnastica mentale.
Nella speranza che la ginnastica, se comporta sempre un po’ di fatica, alla fine poi irrobustisca la muscolatura.
Cioè per carità, non voglio dire che con un libro così tutti si trovino a far fatica, dico solo che io nel mio piccolo ho fatto la mia discreta fatica.
Si comincia con una spiegazione dei principi della struttura del linguaggio. Necessaria per comprendere che cosa sia il linguaggio e quali siano le sue complessità, e la grandiosità del normale miracolo biologico che i bambini piccoli imparano senza nessuna fatica a parlare, anche i bambini piccoli poco dotati dal punto di vista intellettivo.
E ciò è molto importante per penetrare il problema più generale che Chomsky pone fin dall’inizio, cioè in che modo un sistema di conoscenza si forma nella nostra mente/cervello, e in che modo questo sistema di conoscenza venga utilizzato. Cioè, vedi Platone se non mi sbaglio, se i concetti esistono già per conto loro indipendentemente dalla nostra capacità di nominarli, o se ce li costruiamo noi.
Tenendo presente che i bambini piccoli quando giocano da soli parlano e commentano in continuazione quello che fanno, e tenendo presente che in The Meaning of Meaning, parecchi anni prima di Chomsky, C. K. Ogden e I. A. Richards dicevano che "Language, as we know, was made before people learned to think".
Con l’interessante osservazione, da parte di Chomsky, che se è stato possibile costruire il sistema periodico senza sapere niente di fisica atomica, probabilmente sarà possibile comprendere il funzionamento del cervello studiando le strutture della conoscenza anche senza andare a guardare cosa fanno esattamente di volta in volta i singoli neuroni. E infatti in questo campo la fenomenologia aveva già dato i suoi bei risultati anche prima della scoperta dei neuroni specchio. E come dice Douglas Hofstadter in Anelli nell’io, benché ciò che accade al livello più basso sia responsabile di ciò che accade al livello più alto, è però irrilevante al livello più alto.
Come dice Chomsky, un bambino sa che differenza c’è tra l’idea di libro nel senso che uno scrive un libro, e l’idea di libro nel senso che un libro è un oggetto pesante e un altro è un oggetto leggero, ma nessuna delle persone che ha avuto intorno si è mai messa lì a spiegargliela, ammesso che di spiegargliela fosse capace.
Appunto il problema della conoscenza.
Che se noi, come dice Humberto Maturana, esistiamo nel linguaggio, diventa problema della conoscenza e problema del linguaggio, tutto insieme, proprio perché al di fuori del linguaggio non si dà conoscenza, come non si dà denominazione dei concetti né dei fatti.
Cioè, e qui torniamo a Platone, se la struttura del nostro modo di conoscere sia la struttura del linguaggio.
E forse qui con Platone Chomsky avrebbe potuto tirar fuori Eraclito, per cui il Logos era un’espressione della struttura del mondo, sempre se non mi sbaglio. Perché secondo Chomsky anche la nostra facoltà di contare nasce come prodotto collaterale della facoltà del linguaggio, in quanto qualunque bambino sa, senza rendersi conto di saperlo e senza che nessuno glielo abbia spiegato anche perché quelli che glielo dovrebbero spiegare non lo sanno nemmeno loro, qualunque bambino sa che è sempre possibile aggiungere un’unità all’infinito, e che esistono infinite frasi formate da infinite parole, e che ogni frase può essere formata da un numero infinito di parole, ma non c’è una frase che abbia, per esempio, quattro parole e mezza.
Poi da Platone si passa a Cartesio, e si vede che la prova che noi siamo diversi dalle bestie è proprio nel linguaggio, e così la creatività infinita del linguaggio fa nascere il problema della distinzione tra mente e corpo.
E Chomsky a questo proposito ci fa osservare che qui la questione è innanzitutto che il problema della distinzione tra mente e corpo non potrà essere formulato fino a quando qualcuno non abbia trovato un modo chiaro di porlo. Nel senso che non abbiamo ancora trovato una definizione chiara e sicura di cosa sia il corpo.
Come non c’è una definizione chiara e sicura di cosa sia la mente, e qui secondo me si può andare alla polemica sulla coscienza, l’auto-coscienza, tra chi sostiene che la nostra mente è come un computer e la coscienza è solo un programma implementabile in qualsiasi macchina, e chi sostiene l’irriducibilità del fenomeno della coscienza.
Noam Chomsky non si ferma qui, e continua mostrando come le dottrine che vedono lo sviluppo dell’essere umano solo in dipendenza dall’ambiente siano tutt’altro che dottrine progressiste e che fanno comodo soprattutto a coloro che sono coinvolti nel controllo e nella manipolazione, per i quali è utile e comodo credere e far credere che gli esseri umani non abbiano una natura morale ed intellettuale intrinseca.
Ma io mi fermo qui, perché a questo punto non posso non domandarmi quali siano stati i cambiamenti della conoscenza e quindi della mente umana che si sono sviluppati con i cambiamenti del linguaggio.
Perché Platone comincia la sua riflessione al tempo dell’inizio di quel cambiamento del linguaggio (vedi Eric Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura) che è arrivato con l’invenzione della scrittura fonetica.
Alfred North Whitehead scrisse in Process and Reality cheThe safest general characterization of the European philosophical tradition is that it consists in a series of footnotes to Plato”.
Platone ha guidato il pensiero occidentale fino a oggi. Fino a quando il cambiamento dei mezzi di comunicazione non ha portato a un momento di scontro storico forse finale tra il linguaggio delle culture letterate e il linguaggio delle culture non letterate (vedi Walter Ong, Oralità e scrittura ).
Così forse è arrivato il momento in cui, dopo aver pensato con Platone, possiamo cominciare a pensare al suo pensiero. (bamborino)

Lasciando perdere i soliti esaustivo realizzare e inusuale, a pag. 29 c’è vero invece di vera, a pag. 34 c’è gli al posto di le, a pag. 95 bloccata per bloccato e a pag. 172 sebbene le persone hanno, compensato a pag. 174 da un congiuntivo fuori posto.




Throughout the Western world it is agreed that people must meet frequently, and that it is not only agreeable to talk, but that it is a matter of common courtesy to say something even when there is hardly anything to say. (C. K. Ogden & I. A. Richards, The Meaning of Meaning)

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