domenica 10 novembre 2013

Vasilij Aksënov


Vasilij Aksënov, Il biglietto stellato. (Mondadori)

Ho scritto il post subito dopo aver finito il libro, perché non volevo perdermi lo stato emotivo in cui mi ha lasciato, che mi sono quasi messa a piangere.
Questa storia di una fine dell’adolescenza quando non c’era Internet, quando non c’erano i telefonini.
Che è stata la prima cosa che mi è venuta in mente, e subito dopo mi è venuto in mente che questo romanzo somiglia a Il grande Meaulnes di Alain-Fournier, o meglio non gli somiglia affatto ma l’argomento è lo stesso e con quello siamo agli inizi del Novecento e qui siamo nel 1961 e allora ho pensato, tra questi due romanzi ci sono tanti anni ma non c’è un abisso epocale. Ma al giorno d’oggi com’è che si finisce l’adolescenza e si comincia a vivere.
Adesso che si passa l’adolescenza in un bombardamento continuo di comunicazione. Adesso che si vive con la casa sempre piena delle facce finte della televisione, adesso che non si è mai soli.
Il biglietto stellato è bellissimo, forse è addirittura un capolavoro.
Teso fra due narrazioni diverse e simultanee, Viktor il fratello maggiore che parla in prima persona mentre la storia dell’adolescente Dimka passa in terza persona per esplodere in prima persona nel finale.
La casa la famiglia il quartiere gli amici. Il lavoro la musica l’amore. I pensieri dei due fratelli che guardano la propria vita e il proprio futuro. Il passato che hanno condiviso.
Il cortile del caseggiato in cui abitano, il viaggio di Dimka, il laboratorio di scienziato di Viktor.
Vorrei dire e dire, ma questo romanzo va letto senza saperne niente, per gustare fino in fondo la meravigliosa canzone che lo percorre, per farsi prendere lentamente da tutti i suoi profumi.
Per farsi stravolgere dal finale.
Dico solo che un po’ alla volta mentre leggevo mi veniva in mente di tutto, tante cose della mia vita, delle persone che ho conosciuto, dei posti che ho visto.
E poi un po’ alla volta mi sono accorta che Il biglietto stellato, forse senza che Vasilij Aksënov se ne sia reso conto, parla di tante tantissime cose.
C’è l’intuizione, profetica nel 1961, della preparazione alla fine di un mondo, che è quel che sarebbe successo negli anni Sessanta. Nell’intermezzo narrativo della storia d’amore di una ragazza giovanissima con un vecchio, e la ragazza si proietta verso il futuro ma il vecchio sa che di futuro non ce n’è, lei vede passare un aereo e pensa che andrà sulla Luna, mentre lui dice che cadrà in una cunetta. I giovani stanno per lanciarsi verso il sogno del cambiamento, ma i vecchi hanno già capito che questo cambiamento è solo la preparazione di una fine. Ci troveremo anche Romain Gary, su questo tema, in Biglietto scaduto (pensa te, ancora un biglietto).
E mentre Dimka parte alla ricerca del senso della propria vita, Viktor scopre la mancanza di questo senso nello sgretolamento dei risultati del proprio lavoro di scienziato.
Soprattutto, nell’esplosione della prima persona nel finale, c’è l’arrivo di Dimka alla coscienza come consapevolezza dell’io. E la coscienza anche per Dimka nasce dal confronto con l’Altro, che qui è l’incontro definitivo con il fratello.
Ma l’inizio della coscienza dell’io è anche l’inizio della solitudine, e quindi subito dopo Dimka rimane solo.
Così ho pensato che questa cosa, che la coscienza sia la solitudine più assoluta e che questa solitudine possa nascere solo nel rapporto con gli altri, è quasi un paradosso. Un paradosso che forse è come un doppio legame (vedi Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici), una cosa e contemporaneamente il contrario della stessa cosa. E allora forse il doppio legame è una caratteristica ineluttabile della condizione umana, e forse è qui che si trova l’origine dell’angoscia.
Non voglio raccontare il bellissimo finale di questo romanzo, e quindi mi tocca di essere un po’ criptica. Dimka rimane solo, e la fine della vita dell’adolescenza, delle emozioni senza pensiero, senza coscienza è lì davanti a lui, si solidifica nel cambiamento totale della vita di tutta la famiglia. Si concretizza in un crollo, da cui la vita di Dimka ricomincia.
E nel crollo Dimka vede il biglietto stellato, vede il cielo. Come dire, la scoperta di sé stessi diventa completa solo nella scoperta della trascendenza. Con una domanda finale, che è la domanda di sempre.
Che forse non ha risposta, o forse ha trovato una risposta nella decisione di Viktor, di continuare comunque sulla strada della ricerca della verità, anche se sa che la verità non la troverà mai.
Insomma, mi veniva in mente anche che adesso forse la letteratura è l’unico spazio personale che ci possiamo trovare, in silenzio, da soli.
Cioè non da soli, ma in questa intensità forte del vivere e parlare con le persone che incontriamo nei romanzi. (moll)

Due sole cose da dire sul testo, peraltro esente da errori di stimpa. Una, che a pag. 10 forse sarebbe stato il caso di avvertire con una nota che tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta nell’Unione Sovietica il musical occupava una parte molto grande della produzione cinematografica, molto più grande che da noi e negli Stati Uniti. L’altra, che a pag. 175 c’è una samba al femminile, che secondo me sarebbe stato più corretto mettere al maschile, com’è in Brasile e come dicono anche qui tutti i brasiliani e tutti quelli che il samba lo ballano e lo suonano.




Sono del parere che leggiamo per porre rimedio alla nostra solitudine, anche se poi, di fatto, la nostra solitudine cresce parallelamente all’aumentare e all’approfondirsi delle nostre letture. (Harold Bloom, La saggezza dei libri)

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