mercoledì 7 marzo 2012

Stefano Benzoni

Stefano Benzoni, I giovani non esistono. (Isbn)
Dopo Psychofarmers se vedi il nome di Stefano Benzoni su una copertina, il libro non lo lasci lì e questo io non solo l’ho preso subito ma mi sono anche messo a leggerlo appena sono arrivato a casa, e se n’è andato via così bene che dato che c’era in mezzo la domenica in meno di trentasei ore l’avevo già finito. Questo potrebbe bastare ma se non basta, complimenti complimenti e ancora complimenti all’Autore per la bella scrittura svelta e incisiva. E ancora complimenti per un libro che non venderà i milioni di copie che meriterebbe ma che secondo me dovrebbero leggere tutti, se non altro per aprire le proprie conversazioni a un tema che merita attenzioni e riflessioni. 
Tuttavia questo è un saggio e non un’opera di narrativa. Quindi ci stanno bene alcune osservazioni sul contenuto.
A pag. 21 l’Autore ci informa che oggi in Italia ci sono 138 ultrasessantenni ogni 100 giovani. Bene, è un dato abbastanza agghiacciante, ma gli ultrasessantenni si definiscono così, mentre i giovani qui non sono affatto definiti. Chi sono questi giovani? Quelli che hanno meno di trent’anni? Meno di quaranta? Meno di quanto? Viene in mente il titolo, che dice che i giovani non esistono.
L’imprecisione di pag. 21 non può non prepararne altre, e a pag. 62 compaiono le automobili con i cerchioni ribassati e a pag. 107 c’è una descrizione di Milano nel mese di agosto, deserta come il set di un film di Sergio Leone. Si vede che Stefano Benzoni a Milano in agosto non ci sta, o almeno l’ultima volta che c’è stato è dieci e più anni fa. Me la ricordo e me la rimpiango, la mia bellissima città vuota d’agosto e del lunedì di Pasqua, che adesso è sempre più o meno piena, e non di milanesi. Poi l’Autore parla di calzature adatte al pantalone corto, regalandoci l’antichissima banalità, risalente almeno agli anni Cinquanta, di prendersela con il calzino corto di accompagnamento, caratteristico non solo dei vecchi ma di quelli che allora venivano chiamate classi lavoratrici, e mi dispiace che un gentleman così raffinato dimentichi, tra le calzature estive, le Clarks desert boots, che hanno il vantaggio non solo di essere già in partenza più economiche dei mocassini college ma di essere anche reperibili, ovviamente non originali (ma adesso quelle originali non esistono più perché la produzione è stata spostata in Vietnam, bel risultato di tanti anni di guerra di liberazione), al mercato (quello con le bancarelle) non solo a prezzi molto contenuti, ma anche in bellissime varianti di colore e oltretutto molto più morbide di quelle cosiddette originali. Del resto tra gli obbrobri estivi, con le zampette impresentabili dei vecchi, c’è il malvezzo sempre più esteso del piede maschile giovane a vista anche in città, che passi il sandalo robusto, ma i piedazzi maschili con le infradito mi fanno proprio schifo.
C’è poi un momento di caduta del libro, nell’episodio di nonna Angelina. Che, dice l’Autore, è meno alta di un carrello della spesa, e che addirittura spinge il suo con le braccia alzate. Tenendo conto che i carrelli della spesa da tirarsi dietro non mi sembra che arrivino mai a un metro, ci credo poco e direi che questa è quel tipo di spiritosata iperbolica e derisoria caratteristica delle conversazioni dai trentacinque in giù. O dai trentasette in giù, visto che Benzoni è del 1972. Se non che l’Angelina forse ha la schiena piegata da una malattia, e sarebbe proprio una brutta cosa prendere in giro una persona così. Fa specie che, nel casino viabilistico generato dal fermarsi della vecchia col carrello su un passo carraio, per un bel po’ a nessuno venga in mente di aiutarla a spostarsi, e che lo stesso Autore racconti di essere sceso in strada non per darle una mano o per tirarla fuori dai piedi, ma per fotografarla col telefonino. 
Ma smettiamola di scherzare. Come s’è visto sopra, l’incisività stilistica non influenza l’incisività del contenuto, sostanzialmente impreciso e pressapochistico.
Benzoni fa bene a parlare del problema dei vecchi ma tralascia parecchia roba nei dintorni, che forse aiuterebbe a capirlo meglio nelle sue radici, tra cui un sistema sanitario che spende (si potrebbe anche dire che butta via) un sacco di soldi (James LeFanu in Ascesa e declino della medicina moderna scrive che la metà della spesa sanitaria americana va per persone negli ultimi sei mesi di vita) ma genera un sacco di posti di lavoro, direttamente e nell’indotto (produzione di attrezzature, materiali etc.), posti di lavoro non occupati da vecchi. Complicazioni di una catastrofe planetaria (lo diceva già in tutte le salse Romain Gary in La vita davanti a sé, che non si può più crepare in pace), di cui sarebbe il caso di parlare.
Come sarebbe il caso di parlare del fatto che la pubblicità non prende in considerazione non solo i vecchi, ma un’altra bella fetta di consumatori, cioè gli obesi e tutta la gente in vistoso sovrappeso, che sono anche loro in dilagante, rivoltante crescita (sic). E già che ci siamo, si potrebbe parlare anche del sesso tra gli obesi e mettere anche qualche foto come, in un impeto di buon gusto, Benzoni ha pensato (sic) bene (sic) di fare per i vecchi, che forse con i ciccioni il risultato sarebbe ancora più comico.
Insomma, mi sembra che questo libro non vada al di là della descrizione abbastanza frammentaria di un problema al quale non riesce però a dare né un capo né una coda, anche se forse non è possibile darglieli e anche se giustamente mette il dito nella piaga di un mondo dove non si invecchia più con dignità, anzi si invecchia in una maniera sempre più pateticamente ridicola. Ma purtroppo questo è un mondo in cui tutto è sempre più patetico ridicolo e insensato, dall’infanzia alla giovinezza alla mezza età.
Come forse è un po’ patetico e ridicolo che l’Autore (ahi ahi)  che cita sempre le proprie fonti con precisione, si sia dimenticato di dire che quella frase bellissima con cui dà addirittura il titolo ad un capitolo, “Non c’è più la nostalgia di una volta”, non è farina del suo sacco ma l’ha presa quasi pari pari da Sette tipi di ambiguità di Elliott Perlman, pag. 48 in alto, se non mi sbaglio. Una dimenticanza che fa il paio con un’altra, quando Benzoni ci fa osservare che “la vecchiaia è un gioco a eliminazione” (ce lo dice due volte, a pag. 74 e a pag. 98) e gli sfugge, forse per la distorsione percettiva determinata dal fatto di essere ancora (ancora) così giovane, che il vero gioco a eliminazione è la vita, e nessuno sa quando l’Arbitro (come lo chiama Beowulf) gli farà vedere il cartellino rosso. 
E poi, cosa c’è da prendersela tanto coi Boomers (perché maiuscolo? E plurale, le parole straniere in italiano non fanno il plurale), quelli che sono nati nell’epoca dorata tra il 1946 e il 1960 (e che mettevano le Clarks, come Norman Bates). Non solo non sono ancora in pensione, ma a ben guardare forse non sono nemmeno stati loro a mettere in piedi il cesso che abbiamo intorno, se vogliamo tener presente che quando è cominciato lo sfascio (vedi inizio dello spostamento dei capitali nella finanza, con la speculazione sui cambi, e vedi il divieto di fumare al cinema), nei primi anni Settanta, i Boomers più vecchi avevano solo ventiquattro anni e passavano il tempo a dedicarsi, come dice il libro, all’autoindulgenza e alla droga. Facendo nei frattempi anche della gran bella musica. (blifil)
Je sens contre la bêtise de mon epoque des flots de haine qui m’étouffent. Il me monte de la merde à la bouche comme dans les hernies étranglées. (Gustave Flaubert, Lettera a Louis Bouilhet, 30 settembre 1855)

1 commento:

  1. e se l'autore avesse semplicemente paura di "invecchiare" diventando esattamente come tutti coloro che descrive...?

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