giovedì 17 novembre 2011

Diana Athill

Diana Athill, Da qualche parte verso la fine. (Rizzoli)
Il personal essay è una gloriosa tradizione anglosassone, e questo essay di Diana Athill sulla sua vecchiaia è decisamente personal che più personal sarebbe difficile.
Cioè una bella narrazione dei fatti suoi, vivace e interessante come quelle che tocca beccarsi in una qualunque conversazione in un qualunque posto.
Si comincia con una pagina e mezza sui carlini, che sono un tipo di cani e così io parto abbastanza maldisposta. A seguire, un discorso su come sia migliorata, anche grazie ai cosmetici, la vita delle donne di una certa età.
Poi mi scoppia sulla pagina la rivelazione che a quindici anni Diana Athill si innamorò per la prima volta nel modo degli adulti, cioè a quindici anni aveva già capito tutto e così si è persa il giro esistenziale dell’adolescenza, oppure ha passato la vita a innamorarsi come quando aveva quindici anni, sai che roba.
Segue il suo personal pensiero sull’ateismo e sulla religione, su Bach, sull’educazione dei bambini che peraltro non ha avuto, e il racconto  di come sono morti i suoi patenti e i suoi conoscenti.
Poi ci sono dichiarazioni di sorpresa che una che i bambini non le piacevano tanto, poi quando ha avuto dei figli era una madre amorevole.
Poi abbiamo un invito a non piangersi addosso, da vecchi, che si possono fare bellissimi corsi di pittura e di giardinaggio, e poi una descrizione minuta delle ammaccature alla carrozzeria della sua macchina e di come le ammaccature stesse sono state prodotte.
Poi ci sono profonde considerazioni sul proprio egoismo, sui rapporti tra caratteristiche caratteriali innate e circostanze, e alla fine abbiamo una manciata di riflessioni filosofiche generali sulla vita.
Non manca il racconto della propria vita sentimentale e sessuale, non mancano nemmeno le considerazioni sul rapporto tra lo scrittore e la propria opera. Il tutto più o meno nello stile della pagina e mezza sui carlini, con frequente comparsa del termine autostima.
Così il libro trova la propria strada da qualche parte verso la pattumiera. (moll)
Tutta questa faccenda di “essere innamorati” non è una realtà esistenziale, ma una forma di prodotto culturale, un’illusione creata dal riflesso scambievole di un milione di specchi sfumati di rosa: poesie d’amore, canzoni pop, immagini filmate, inserzioni sui giornali, pubblicità di sciampo, romanzi sentimentali. (David Lodge, Il professore va al congresso)   

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