martedì 29 novembre 2011

Jean Teulé

Jean Teulé, Il negozio dei suicidi. (Vertigo)
All’inizio sembra una scopiazzatura della famiglia Adams, ma poi lo si potrà prendere in considerazione come strenna natalizia molto speciale.
Si capisce subito che siamo in un lontano futuro superinquinato in cui il suicidio è diventato un’attività esistenziale abbastanza normale, tanto che le defenestrazioni sono più o meno continue. Il negozietto a conduzione famigliare propone al pubblico una grandissima scelta dei più significativi ed efficaci articoli adatti allo scopo, e l’ambientazione è tutta nell’edificio alto e stretto, che fa venire in mente il film Delicatessen, dove la famigliola vive ed esercita la sua attività: gli esterni sono visti solo dalle finestre o dalla vetrina del negozio.
La scrittura a scatti, tutta al presente, ha una sua ruvida bellezza, con una piacevole insistenza sui dettagli dell’abbigliamento dei personaggi che sono tutti simpatici, e c’è qualche vera perla, come una sapiente insistenza sul valore erotico dello scambio di saliva.
Va via in fretta e si ride tanto, nel senso che veramente mentre si legge si scoppia a ridere più di una volta, ma la cosa più bella è che sul risvolto di copertina la storia è raccontata sbagliata, come spesso capita, ma qui capita proprio bene. Cioè quest’opera non è un romanzo breve ma un racconto lungo, e quindi come dice Tobias Wolff oltre a delineare una situazione più che narrare una storia, finisce come deve finire un gran racconto, con una botta tremenda e veramente magistrale che si spalanca sull’abisso della più totale mancanza di definizione e trasforma di colpo un facile libretto spiritoso nell’eterna domanda senza risposta sul senso di vivere: tassativo dunque non andare a leggere in anticipo la fine, per godersi in pieno il pugno in faccia.
E poi chi non lo sa già avrà modo di scoprire l’origine del logo della Apple.
Se a pag. 125 c’è il piacere di trovare una gerla, parola ormai quasi dimenticata, a pag. 120 c’è un salata al posto di salta, a pag. 136 c’è sgombero usato come aggettivo e soprattutto c’è la porcheria, ormai per molti quasi attestata nel linguaggio parlato e che sta prendendo piede anche sulla carta stampata, di sbagliare i pronomi, cioè a pag. 155 c’è un bel gli al posto di un le. Oltre al fatto che ne abbiamo le balle piene di questa cosa di mettere le note in fondo invece che a piè di pagina. (blifil)
Lo scienziato non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è colui che pone i veri problemi. (Claude Levi-Strauss, Il crudo e il cotto)

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