giovedì 29 dicembre 2011

Amélie Nothomb

Amélie Nothomb, Stupore e tremori. (Voland)
Non ho capito.
Dovrebbe essere il racconto tragicomico di un’esperienza lavorativa in una grande azienda giapponese ma a parte il tono spiritosetto, quel tipo di spirito da prima superiore che si trova tanto spesso nelle produzioni letterarie attuali, produzioni nel vero senso della parola e letterarie si fa per dire, a parte questa cosa del tono e delle trovatine simpatiche distribuite dappertutto, secondo me non si capisce di cosa parla il libro.
Cioè, non si capisce se è stato scritto semplicemente per parlar male del Giappone e dei giapponesi, con una dose di frecciatine su quello che hanno fatto nella Seconda Guerra Mondiale, o se lo scopo del gioco era di fare un confronto tra la vita nelle aziende nipponiche e in generale in Giappone e la vita nelle aziende occidentali e in generale in Occidente, dando ad intendere naturalmente che nelle aziende nipponiche si vive e si lavora in una maniera assurda e umiliante e in quelle occidentali no.
Ma se i giapponesi in guerra hanno fatto quello che hanno fatto, è anche vero che gli occidentali gli hanno poi tirato le bombe che gli hanno tirato, che tra l’altro erano un crimine di guerra in base alla Convenzione dell’Aja del 1907 se non mi sbaglio Art. 23, e poi siccome non gli conveniva economicamente e politicamente si sono anche ben guardati dal fargli una Norimberga.
E forse non sappiamo come si vive e si lavora in Giappone, ma come si vive e si lavora qui lo sappiamo tutti, e per quelli che non lo sanno e hanno la fortuna di conoscere solo la realtà dei libri, per farsi un’idea delle meraviglie della vita e del lavoro nel mondo occidentale, se vogliono leggere un saggio molto bello c’è Social killer di Mark Ames e se preferiscono la narrativa c’è Post Office di Charles Bukowski, tutt’altro che divertente e spiritoso e del tutto privo di trovatine simpatiche, ma che almeno quando hai finito di leggere ti lascia dentro qualcosa, che è poi qualcosa con un gusto molto amaro, per non dire da vomito, e profondamente occidentale. (moll)

Nella quarta di copertina si parla, tra virgolette come per una citazione del testo, della “più grande azienda dell’universo”, ma nel testo c’è scritto “una delle aziende più grandi dell’universo”. Poco male, siamo abituati ai modi pubblicitari delle quarte di copertina. Però a pag. 82, incredibile ma vero, si va a capo con tanto di trattino dopo un apostrofo, a pag. 101 c’è l’ormai sempre più frequente soddisfi invece di soddisfaccia, a pag. 104 si trova un sciacquone, e a pag. 105 salta fuori una birra di pragmatica. Per un libro di 120 pagine a 1800 battute a pagina venduto a 11 euro, direi che è un risultato non da poco.
La generazione televisiva è un gruppo di depressi. (Marshall McLuhan, Il medium è il massaggio)

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