domenica 18 dicembre 2011

Velimir Chlebnikov

Velimir Chlebnikov, 47 poesie facili e una difficile. (Quodlibet)
Nel post sul libro di Erik Lange abbiamo già ventilato la possibilità di fare un regalo dispettoso, e questo può essere un dono di perfetta e criptica dispettosità per un vero intellettuale, così l’intellettuale sarà contentissimo e ci ringrazierà con ammirazione, e noi magari avremo sbolognato un libro che ci dava fastidio vederci intorno, e ce la potremo ridere in silenzio.
Nel suo essere, il libricino, un capolavoro di intelletualismo e di faccia tosta.
Cioè c’è una poesia che si capisce benissimo ed è anche bella, e allora questa poesia diventa la prova che di quello che scriveva Chlebnikov non è vero che non si capisce niente, si capisce e come, e la poesia la mettiamo in quarta di copertina e la mettiamo anche nella postfazione, e poi fa niente se dentro il libro ci troviamo delle perle come che la città allunga un’ulcera ad ogni sole notturno, oppure che donne spuntano qua e là come vie lattee, o che sono un cranio di cavallo, son su un tiglio, una bibita al giusquiamo (Amleto? che non c’entra con la poesia, questa cosa in parentesi ce l’ho messa io): bevi. E fa niente se queste poesie di Chlebnikov sono quasi tutte così, perché intanto la poesia facile e bella te l’abbiamo messa in quarta di copertina e il libro l’hai comprato.
Poi c’è la postfazione che anche quella ci va giù pesante, e secondo me la questione non è di spiegare che cosa volevano fare i futuristi russi negli anni Venti, e anche gli altri futuristi e in generale tutti gli avanguardisti del Novecento, ma di cercare di capire come mai a un certo momento non è stato più possibile scrivere coma Jane Austen o come Dickens o come Balzac e perché comincia questo modo di scrivere che non si capisce niente, forse il primo come dice il nostro lieder Bamborino è stato Mallarmé, e non è che alla gente la roba che quando si legge si capisce non interessava più, Dickens e compagnia la gente li leggeva e li legge comunque, casomai nessuno legge più i futuristi ma quelli che si capisce quello che scrivono vanno ancora alla grande, vedi John Fante per dirne solo uno, e vedi Raymond Carver per dirne un altro, che ha scritto anche qualche poesia che si capisce di cosa parla, e vedi anche le poesie di Charles Bukowski o Nazim Hikmet.
E spiegare cosa volevano fare i futuristi eccetera è facile, perché lo dicevano loro, quel che volevano fare, come tutti gli avanguardisti del Novecento che facevano sempre manifesti e programmi e dichiarazioni d’intenti, si legge e poi più o meno basta trascrivere.
Ma cercare di capire quell’altra cosa è molto ma molto meno facile, bisognerebbe fare la fatica di leggere un sacco di roba scritta da canadesi e in Canada fa un freddo tremendo e allora lasciamo perdere.
Come lasciamo perdere di domandarci come mai i futuristi italiani stavano con i fascisti e i futuristi russi stavano con i bolscevichi. Cose difficili.
E un’altra cosa tutt’altro che facile, almeno per me che sono un ignorante, è stato capire qual è la poesia difficile di cui al titolo. Cioè non è che è stato difficile, è che proprio non l’ho mica capito.
Anche se comunque capire dove andava a pescare quel furbastro di Dylan Thomas è già una bella cosa e vale la fatica di leggere Chlebnikov,.
E che Dylan Thomas è un furbastro e un acchiappagonzi non lo dico solo io ma lo dice anche George Steiner. (saposcat)
A pag. 16 un bambino dice, ciò fame, e secondo me era meglio c’ho, anche perché con ogni probabilità è un bambino russo e non un bambino veneto, e comunque anche se fosse un bambino veneto il ciò lo metterebbe in fondo, a pag. 19 c’è Port Artur invece di Port Arthur, a pag. 75 Chebnikov, che secondo me per l’esiguo numero di parole, oltretutto scritte in grande, quindi pochissima fatica per leggere e rileggere con attenzione, per questa poca fatica e per euro 9,50 per un libro così piccolo, secondo me lasciare anche un solo errore è un discreto strafregarsene. Poi ogni tanto salta fuori la rosalka, che non si capisce che cos’è, che forse è una delle parole che Chlebnikov inventava, ma allora perché non segnalarlo in una nota.
La donna si lascia prendere facilmente, quando crede di essere amata. (Caritone di Afrodisia, Il romanzo di Calliroe)

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