venerdì 10 febbraio 2012

Ken Kesey

Ken Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo. (Rizzoli)

Un professore di letteratura americana mi aveva consigliato il libro accompagnandolo con un commento criptico e oscuramente minaccioso: “Per leggerlo ho dovuto prendere il Valium”.
Ecco il libro con una bruttissima copertina che richiama in malo modo il ben più celebre e celebrato film. Film degli anni in cui peregrinavo per lavoro tra i manicomi italiani, nel caos dei primi tempi della legge Basaglia e che, pur bello, mi aveva sempre lasciato un po’ perplessa.
Dopo una ventina di pagine tutto è stato più chiaro, perplessità sul film compresa. La storia la sanno tutti, ma leggere il romanzo è un’altra cosa.
A partire dal fatto che l’io narrante è il pellerossa silenzioso.
Libro spietato, corre più veloce del mio già leggere veloce, con le parole che prima ti accarezzano e poi ti prendono a sberle. Il ritmo forsennato è costante, e ti accorgi in fretta che l’italiano non regge, tanto che ho subito cercato la versione in lingua originale tanto decantata dal prof.
E allora t’innamori di quelle descrizioni e di quei dialoghi basati sul ritmo e l’incisività dello slang americano.
Sembra di essere in guerra con le parole. Le parole del gigante indiano, che ti aggrediscono da ogni parte come le frecce di Little Big Horn. Parole capaci poi di evocare emozioni. Emozioni forti, incontrollabili, che intralciano la lettura. Testa e cuore in subbuglio ti spingono ad andare avanti a leggere come alla ricerca di un orgasmo che non arriva mai. Dolore, disperazione, brandelli di speranza. Personaggi cattivi, personaggi inermi, tentativi di umanità, giullari, tragedia, perversioni da vomito, esseri umani trattati come piante di pomodoro, normali atti di crudeltà.
Ricordo che, ai tempi, la critica aveva venduto il film come la storia di chi si ribella e vuole volare oltre lo schifo della vita per raggiungere la vera umanità. Come del resto dice anche la quarta di copertina. Balle grandi balle.
Nel romanzo non c’e’ nessuna speranza, non c’e’ nessun volo. C’è solo l’umanità bestiale che riempie i libri di storia. Ken Kesey descrive la semplice immutabile realtà dell’uomo fatto per il novantanove per cento di meschinità e schifezze e per l’un per cento della disperazione di esserlo.
Libro da leggere e rileggere. Meglio in inglese e meglio senza aver visto il film o letto nulla di Kesey. Senza Valium, con una bottiglia di birra e un amico/a con cui di tanto in tanto interrompere le emozioni con altre emozioni. Consigliato a stomaci forti e pronti, alla fine, a deliziarsi con un giro in centro nella Milano del sabato pomeriggio, e tanta voglia di tirare giù la clèr. (alia)

S’è già detto che la copertina è orribile, e se si guarda a pag. 4 si scopre che il libro è uscito negli Stati Uniti nel 1962, e in Italia nel 1976. Quattordici anni di distanza per un libro che a casa sua aveva avuto un successo enorme. In realtà il libro era stato tradotto pochi anni dopo, ma è rimasto a riposare in un cassetto fino all’uscita del film.
Vi sono momenti nei quali una persona che fin allora si è semplicemente limitata a esistere, non soltanto scopre di essere al mondo, ma comincia anche a capire che nella sua vita vi è qualcosa di guasto, come una piaga segreta. (Michail Saltikov Scedrin, I signori Golovlióv)

2 commenti:

  1. Ah, questo libro è piaciuto tantissimo anche a me. Letto appena l'anno scorso, quindi avevo alle spalle il film, visto e rivisto svariate volte. E devo dire, che non riuscirei a immaginare attore più azzeccato di Jack Nicholson, no no. :)

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  2. Jack Nicholson è un grande attore: non centra però nulla con il personaggio del libro. Siamo nel 1962, siamo nei manicomi veri e i matti sono matti non scemi. Il manicomio è solo una scusa,il libro urla cos'è questo schifo di mondo e quanto l'umanità sia insulsa e avariata. Vivere non ha senso. Puoi solo volare. Via.

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