lunedì 20 febbraio 2012

Matt Mason

Matt Mason, Punk capitalismo. (Feltrinelli)
Libro molto complesso e sostanzialmente sbagliato, in cui però si può trovare qualcosa di giusto. Anzi più di qualcosa.
Molto complesso perché può essere considerato un saggio di sociologia, di economia, di storia dei movimenti politici, di storia della musica. Non è facile mettere insieme le idee per dirne qualcosa in un post, ma ci si può provare.
Il libro parte dalla rivoluzione del punk, alle cui radici trova i situazionisti francesi, cui riconosce la gloria di essere stati una banda di ubriaconi della rive gauche, e non si può non ricordare qui quello che Guy Débord dice di sé nel suo Panegirico, “Nella mia vita ho letto molto, ma ho bevuto anche di più”, che mi verrebbe da dirlo anche per me, solo che non farei riferimento al bere. Anche se anch’io ho bevuto la mia parte.
Da qui, Matt Mason si apre a considerazioni sulla rivolta giovanile e sulla nascita del dub in Giamaica. Nonché al passaggio, secondo lui naturale e senza soluzioni di continuità, dal dub al remix e in seguito alla musica hip-hop.
Se a questo proposito Punk capitalismo può essere considerato una pregevole opera di storia della musica, qui c’è secondo me il primo sbaglio, cioè lo sbaglio fondamentale, di questo libro. Che è quello di chiamare cultura del remix quella che sostanzialmente è una cultura del riciclaggio. E gli sfugge che il remix musicale si è sviluppato di pari passo con la generalizzazione del riciclaggio, che è passato dai rifiuti, con l’avvento della sempre più diffusa precarietà lavorativa, al riciclaggio continuo dell’essere umano, costretto a una vita lavorativa di competenze flessibili e rapidamente obsolete.
Come sostanzialmente gli sfugge che la fine del rock, con la fine del punk, è stata anche la fine delle ultime possibilità dell’espansione economica del capitalismo.
Per Matt Mason dal punk comincia un nuovo stile del capitalismo, che si apre a spregiudicate iniziative giovanili.
Ma è da qui che il libro si apre alla confusione, che a tratti sconfina nel delirio. Matt Mason prende spunto dalla pirateria radiofonica degli anni Sessanta e da lì parte a spiegarci come il nuovo mondo della globalizzazione e dell’informatizzazione totale apra incredibili prospettive di violazione dell’ordine costituito, sempre con esempi tratti dal mondo musicale, in cui secondo lui esiste la possibilità di esprimersi in maniere del tutto indipendenti e di raggiungere tutto il pianeta con poca spesa.
Il che è abbastanza vero, ma è altrettanto vero che quella che i situazionisti hanno chiamato Società dello Spettacolo è comunque in grado di riassorbire tutto, come si può vedere dalla storia del movimento spontaneo del parkour a Parigi, giovani che correvano per strada facendo acrobazie mirabolanti, che è stato rapidissimamente assorbito dalle potenze del marketing. Matt Mason ne parla, ma evidentemente in qualche modo il senso profondo di fatti come questo gli sfugge. Cioè dei situazionisti Matt Mason sa che bevevano molto, ma sa ben poco di quello che hanno detto.
Tanto che tutto diventa veramente patetico quando si passa ai festeggiamenti per la nascita di una specie di nuovo altruismo, in cui i divi dell’hip-hop secondo Matt Mason abbandonano i loro stilemi maschilisti e criminalisti per aprirsi a nuove eleganze e a nuovi comportamenti secondo lui altruistici, e racconta nei dettagli come un rapper americano ha partecipato alla campagna pubblicitaria di una bevanda destinata alle tranquillità della classe media.
Tuttavia lo scenario mondiale che Matt Mason ci mette davanti è veramente grandioso, e il libro è scritto con magnifica scioltezza. E mi ha fatto pensare che se è vero che ci sono sempre più telecamere e sempre più controlli dappertutto, forse è anche vero che per le possibilità di sfuggire ai controlli e di far passare qualcosa, si sta aprendo una nuova era. Matt Mason ne parla per la musica e per l’abbigliamento, ma le possibilità che iniziative anche isolate possano scatenare movimenti aggregativi spontanei e rapidamente diffusibili grazie alle nuove tecnologie, malgrado il controllo sempre più diffuso, sono sicuramente aumentate.
Così, se per il momento i movimenti giovanili spontanei si esprimono prevalentemente nell’abbigliamento e nella musica, qua e là ci sono anche fenomeni come l’Happy slap tv, cioè gruppi di ragazzini che prendevano a sberle degli adulti in autobus e per strada, riprendendo la scena con il telefonino e trasmettendola ad altri telefonini o via internet, con il risultato di una proliferazione virale di questi episodi. A dirlo così fa ridere, che uno/a si fa un pisolino in autobus e viene svegliato con un ceffone da un quattordicenne che lo invita a sorridere per Happy slap tv mentre intorno i suoi amici (suoi del quattordicenne) gli puntano addosso i telefonini, ma dopo il primo fatto del 2004 sull’autobus 106 a Hackney, da Londra la cosa si era allargata a tutto il Regno Unito, e rapidamente si era passati ad un incubo nazionale, con episodi sempre più numerosi e soprattutto sempre più violenti, dalle sberle ai pestaggi alle coltellate, con persone letteralmente ammazzate di botte.
Vedremo.
Matt Mason cita Margaret Mead che ha detto, non bisogna mai dubitare del fatto che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi e motivati possa cambiare il mondo, anzi, è l’unica forza che ci è mai riuscita.
E una volta che qualcosa comincia, si sa come comincia ma non sempre si sa come si fermerà: ci si può ricordare del 12 luglio 1789, quando Donatien Alphonse François de Sade si mise a urlare dalla finestra della sua cella alla Bastiglia,  provocando un tumulto di sanculotti che due giorni dopo, il 14 luglio, andarono all’attacco della fortezza per liberare i prigionieri. Sade intanto era stato trasferito, ma il casino che aveva scatenato non si sarebbe fermato tanto presto.
Quello che è successo in Egitto magari non è propriamente una rivoluzione, ma potrebbe essere stato il primo atto di qualcosa di imprevedibile.
Vedremo.
Intanto da questo libro sono venuto a scoprire l’esistenza di una cosa che si chiama stampante tridimensionale, roba da Star Trek, che per adesso serve solo a fare modellini di plastica ma non si sa mai, quando andavo al liceo anche il fax sembrava una roba da fantascienza. (blifil)

Inconcepibile in un libro che parla di musica, a pag. 23 si fa riferimento a Deborah Harry come Debby invece di Debbie (chi non sa chi è si vergogni, e voglio sperare che non torni a leggere questo blog prima di essersi purificato/a con severe punizioni corporali), a pag. 29 c’è Doll invece di Dolls, a pag. 98 c’è dal invece di da.
Ma non ce la faccio a permettere che qualcuno lasci questo blog senza conoscere Deborah Harry e quindi lascio questo link
per permettere a tutti di adorarla al massimo del suo splendore.
La gente può fare a meno di tante cose; il problema è che non riesce a non andare a comprarle. (Alan Bennett, Nudi e crudi)

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