martedì 14 febbraio 2012

Thomas Hardy

Thomas Hardy, Via dalla pazza folla. (Garzanti)
Dopo un po’ che l’avevo chiuso mi sono reso conto che non ero in grado di definirlo precisamente. Cioè, è una storia d’amore, questo si può affermare con certezza. Che non è poi molto, quasi tutti i grandi romanzi sono storie d’amore, più o meno complicate.
Il fatto di Via dalla pazza folla è che non c’è un protagonista.
O ci potrebbe essere, si può pensare che Gabriele Oak sia il protagonista. E il romanzo comincia con un primo piano ravvicinato della faccia di Gabriele Oak e da lì si allarga alle sue abitudini, ai suoi abiti e ai suoi movimenti. Ma Batsceba Everdene arriva subito dopo. E sostanzialmente Oak poco dopo l’inizio rimane sullo sfondo. Quindi si potrebbe dire che la protagonista è Batsceba.
Oak è innamorato di Batsceba e il romanzo è la storia di questo amore. E Batsceba è decisamente il personaggio principale, tutta la storia gira intorno a lei. Ma Batsceba non avrebbe senso se non ci fosse Oak che la guarda e la ama in silenzio. Cioè Batsceba è nello sguardo di Oak, esiste in quanto esiste Oak. Tanto che il romanzo comincia con Oak che si accorge dell’esistenza di Batsceba.
Poi c’è Boldwood, e c’è il sergente Troy. E c’è Fanny Robin. Tutte catastrofi esistenziali che basterebbero ciascuna per un romanzo a parte, tutti personaggi di potenza enorme. Tempeste che girano intorno a Oak e a Batsceba.
Forse il senso del romanzo è in questa frammentazione, nella divisione un po’ statica tra queste storie che si incontrano e collidono ma tenendo sempre una distanza. Distanza tra le storie, distanza tra le persone.
Gabriele Oak lo vediamo subito in primo piano, in faccia, ma gli altri fanno la loro apparizione da lontano. Come Batsceba e Boldwood, o come Troy che è addirittura solo una voce da una finestra. Poi irrompono. Batsceba tra le fiamme di un incendio, Boldwood nella frecciata tragica di uno scherzo di San Valentino, Troy con uno scontro nel buio della notte. Come Fanny Robin.
E il buio. Si potrebbe dire che è il romanzo del buio. La campagna e le strade nella notte, le case e le taverne illuminate dalle candele. Il buio che non conosciamo più e che prima dell’elettricità era una condizione comune della vita di tutti. La bellezza del buio, delle cose disegnate nei loro contorni da luci precise, localizzate. Presenze e potenze drammatiche degli oggetti, degli ambienti e delle persone.
L’epoca del grande romanzo sta per finire. Non ci saranno più scrittori come Dickens, come Trollope, come Balzac, come Jane Austen. Con Thomas Hardy arrivano le aperture al personale e all’individuale che già si erano presentate con Flaubert. Si avvicina il Novecento. Il radicamento sociale delle storie e la definizione di classe dei personaggi ci sono ancora ma si spostano sullo sfondo.
Forse gli scrittori stanno preannunciando l’inizio delle confusioni del capitalismo avanzato. (bamborino)
C’è il problema del pronome essa, riferito alla persona, invece di ella, presente in tutto il testo, tranne per un ella isolato che appare sorprendentemente a pag. 145. Poi c’è un quisquiglie a pag. 165, le iridi, fiori, invece di iris, indefinibile invece di indefinibili a pag. 327, e nella nota 5 a pag. 339 Steele diventa Steale.
Si segnala a proposito dell’orologio a ripetizione a pag. 235, che con questo termine si intendono gli orologi da tasca e da polso che azionando un meccanismo battono le ore e a volte i minuti, necessari un tempo quando il buio notturno era buio totale e non si poteva guardare il quadrante, e che sono prodotti anche al giorno d’oggi da fabbricanti tipo Patek Philippe, per prezzi che si aggirano intorno alle centinaia di migliaia di euro.
I cornuti finiscono tutti all'inferno. Che Dio ci protegga. ('Ala al-Aswani, Palazzo Yacoubian)

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