domenica 29 aprile 2012

Gianni Celati e Daniele Benati

Gianni Celati e Daniele Benati, Storie di solitari americani. (Rizzoli)
Secondo me le antologie in generale e le antologie di racconti in particolare sarebbe meglio lasciarle perdere, ma questa qui è una bellissima eccezione.
Innanzitutto per il saggio introduttivo di Gianni Celati, bellissimo e utilissimo come punto di partenza per una conoscenza della narrativa americana e per un inizio di riflessione su questo tema.
E poi la scelta dei racconti è ottima, lungo la strada appunto di quella solitudine della vita americana, che si presenta in tutta la sua tragica realtà fin dalle prime espressioni della narrativa statunitense, dall’Ottocento con il fondamentale Wakefield di Nathaniel Hawthorne, per arrivare alle disperazioni del Novecento con O. Henry e con una batteria di capolavori, da Sherwood Anderson al grande Ring Lardner alla distorsione temporale di Delmore Schwartz fino alla violenza vuota di Flannery O’Connor.
Ma forse il più importante, per farci sopra un paio di pensieri su quali siano, nel mondo contemporaneo, le reali possibilità interiori di libero pensiero e di scelte esistenziali, è un altro racconto famosissimo e fondamentalissimo, Flitcraft di Dashiell Hammet, che chi lo vuol leggere in inglese lo trova qui e tanti saluti al SOPA e al PIPA, racconto che in un certo senso fa il paio con Wakefield nel delineare i contesti dell’angoscia contemporanea, e anche questo ve lo potete leggere in inglese subito qui.
L’unico che non è un capolavoro, secondo me è L’uomo che corruppe Hadleyburg di Mark Twain, una storia un po’ tirata per i capelli e sostanzialmente non chiarissima, ma comunque con due bellissimi personaggi, una coppia di vecchi che da una condizione di bonaccia esistenziale si trova scaraventata nelle tempeste del dubbio.
Insomma, per il pochissimo che costa anche per la sontuosità della realizzazione editoriale, è un libro che tutti dovrebbero avere in casa. (blifil)
A pag. 12 c’è la invece di alla, a pag. 44 c’è uno scarto tra il bene dal male, a pag. 62 mora invece di morale, a pag. 176 la notte forse era meglio chiamarla sera, a pag. 336 c’è un ingiù. 
Leggere bene significa correre grossi rischi. Significa rendere vulnerabile la nostra identità, il nostro autocontrollo. (George Steiner, Linguaggio e silenzio)

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