mercoledì 25 aprile 2012

Wael Ghonim

Wael Ghonim, Rivoluzione 2.0. (Rizzoli)
Autobiografia localizzata, localizzata sugli avvenimenti di rilievo, dell’uomo che ha scatenato la Rivoluzione del 2011 in Egitto.
Che potrebbe essere definita la Rivoluzione della Dabbenaggine, perché non so come altrimenti definire la condizione mentale di chi si mette ad esultare salmodiando che l’esercito e il popolo sono una sola mano.
Un esercito che, detenendo il 40% delle risorse economiche dell’Egitto ed essendo stato fino al giorno prima il sostegno armato del regime di Mubarak, non poteva certo lasciar fare agli insorti di piazza Tahrir.
Così la Rivoluzione è andata a finire in una dittatura militare.
Ma non ha senso deplorare la mancanza di coscienza politica degli insorti, come non ha senso fare osservare che anche per il Cile si era detto che l’esercito era sempre stato ligio al rispetto delle istituzioni. La generazione di Internet vive in un eterno presente, e la memoria storica anche più recente si annulla nelle istantaneità di Twitter.
Tuttavia.
Tuttavia forse in questo caso può essere più utile riflettere semplicemente su quello che è successo, cioè sulla forma degli avvenimenti, che come dice Marshall McLuhan potrebbe essere più importante del loro contenuto.
E la forma qui è che Wael Ghonim, da solo e senza nemmeno trovarsi in Egitto ha messo in piedi tutto quel casino, semplicemente con una pagina Facebook. Senza che nessuno riuscisse a fermarlo, senza che nessuno facesse in tempo a fermarlo.
Poi si può riflettere sull’importanza che ha avuto Google, di cui Wael Ghonim è un funzionario, nel lavoro per la sua liberazione dopo che l’avevano arrestato. E non tanto Google come azienda, e questo è il punto, ma gli amici di Wael Ghonim che lavoravano in Google.
Che è un tipo di azienda che era impensabile vent’anni fa, e che qualche volta è già forse più potente di uno stato.
Ovvero la Rete, che sta cominciando a dar luogo ad avvenimenti che non credo possano essere esaminati con i criteri che si sono adoperati fino ad ora per valutare l’andamento e la natura dei movimenti politici.
Qualcosa su questo argomento si può trovare in Il lato oscuro della Rete di Nicholas Carr, e poi si può pensare alle battaglie del 2004 nei dintorni di Parigi. Movimenti di insurrezione che non hanno dirigenze, non fanno richieste precise, sostanzialmente non hanno ideologie, ma si muovono e chiamano alla partecipazione. In Egitto in Francia in Tunisia a Zuccotti Park.
Il problema della mancanza di un obiettivo e di un sottostante pensiero ideologicamente formato potrebbe essere la condizione di autoreferenzialità legata alle profonde modificazioni della percezione di sé e degli altri generate dai continui bagni in Facebook Twitter e Instagram.
Che è poi la faccenda della partecipazione alla quale, come diceva già molto tempo fa il solito Marshall McLuhan, ci chiamano la televisione e i giornali, che in realtà non danno informazioni ma ci scaraventano addosso continue comunicazioni emotive, vedi gli insensati ambaradan di notizie irrilevanti e di commenti futili che circondano regolarmente quel prevedibilissimo imprevedibile che è la morte di qualcuno. 
Oppure, vedi Marshall McLuhan e Walter Ong, riaprendo il discorso sulla nostra epoca come tempo dell’oralità secondaria, si potrebbe tirar fuori il fondamentale famosissimo e citatissimo The Problem of Meaning in Primitive Languages di Bronisław Malinowski, in The Meaning of Meaning di C. K. Ogden e I. A. Richards, e dire che nella attuale condizione di simultaneità il linguaggio scritto si confonde con il linguaggio parlato e ritorna quindi ad essere primarily a mode of social action rather than a mere reflection of thought.
Vuoto ideologico e programmatico ormai riconosciuto dall’uso generalizzato del termine “attivista” per indicare gli attori di un certo tipo di intervento politico, che viene così inconsapevolmente qualificato come movimentazione di qualcosa, che non si sa cosa è. O forse, cosa è non lo si sa ancora.
Così la mancanza di direzionalità di questi movimenti potrebbe anche essere il primo segnale del crollo di quella organizzazione burocratica dell’esistenza di cui parla Zygmunt Bauman in Modernità e Olocausto. Ovvero come dice il sottotitolo del libro, il potere della gente è più forte della gente al potere.
Vai te a sapere.
Intanto se si vuole sapere di più il libro di Wael Ghonim racconta tutto, e lo racconta bene, e si fa leggere veloce dall’inizio alla fine.
Staremo a vedere.
E mentre stiamo ad aspettare, forse vale la pena di fare una riflessione in più, per carità niente di politico, su come sia sempre più difficile, di questi tempi, vivere senza sporcarsi le mani.
Perché come dice Marshall McLuhan in  La galassia Gutenberg, il terrore è lo stato di normalità di ogni società orale, poiché in essa ogni cosa influenza ogni altra senza soluzione di continuità. Così un uomo che si è dato fuoco in Tunisia ha influenzato qualcosa in Egitto e qualcuno a Dubai si è sconvolto per una fotografia del cadavere torturato di Khaled Said e ha fatto una pagina Facebook e il resto.
E allora si può pensare che quando si faceva una bella vacanza a basso prezzo a Sharm el-Sheikh, se dalla nostra parte c’è qualcuno che paga poco si può anche pensare che dall’altra parte c’è qualcuno che lavora e viene pagato male, e che i modi per finanziare un regime di violenza di torture e di fame sono tanti, e allora si può passare un po’ del proprio tempo a leggere una cosa come  Bartleby lo scrivano di Herman Melville, e pensare che ogni tanto in questo schifo è meglio astenersi, anche dalle vacanza low cost, e girare la faccia verso il muro. (bamborino)
Per il Nuovissimo vocabolario illustrato della lingua italiana di G. Devoto - G. C. Oli, la stupidità è un’indisponente ottusità o balordaggine, e per il Concise Oxford Einglish Dictionary uno stupid è lacking intelligence or common sense, e dazed and unable to think clearly.
C’è poi il grande Carlo M. Cipolla che nel suo celeberrimo ma non mai abbastanza celebrato Allegro ma non troppo divide l’umanità in quattro sottotipi, rispetto all’operare per il bene proprio e per il bene altrui, dove l’intelligente è per il massimo bene proprio e altrui, il bandito per il massimo bene proprio e il minimo bene altrui, lo sprovveduto per il minimo bene proprio e il massimo altrui, e lo stupido per il minimo bene sia proprio che altrui, sottolineando che lo stupido è molto più fastidioso del bandito, perché il bandito ogni tanto si riposa ma lo stupido non si ferma mai.
Tutto questo discorso non c’entra.
Ci mancherebbe.
Rivoluzione 2.0 di Wael Ghonim ha la caratteristica di riportare parecchie comunicazioni avvenute in Rete, a volte di qualche riga, a volte più corpose, a volte addirittura di qualche pagina.
Caratteristica che si configura in una vera delizia in quanto la banda che si è occupata di editare il testo ha pensato (sic) bene (ancora sic) di scrivere le parti di comunicazione Internet in rosa, sì rosa avete letto giusto, e non un rosa intenso ma un rosa pallido e delicato, un rosa che si può immaginare con quale delizioso risultato sulla facilità di lettura.
Nessun uomo si rende mai conto del vero interesse costituito dall’epoca in cui gli capita di vivere. (Atrhur Cona Doyle, Oltre la porta magica)

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