sabato 14 aprile 2012

Jonathan Littell

Jonathan Littell, Il secco e l’umido. (Einaudi)
Sottotitolo, Una breve incursione in territorio fascista.
Perché purtroppo il termine generale che definisce quest’ambito è la parola fascismo, anche in questo caso in cui si parte da un saggio sui Freikorps tedeschi e si arriva a Léon Degrelle, un famoso nazista belga che partecipò, tutto sommato in una maniera abbastanza ridicola, alle ben peggiori efferatezze dei tedeschi. Alle quali i fascisti italiani hanno partecipato sì anche loro, ma in ben altro modo, vedi Raul Hilberg. Però mi sa che la croce del significato di questa parola ce la porteremo addosso nei secoli, anche se non credo che ce la meritiamo fino in fondo.
Il fascismo come categoria estetica. Che non è tutto il succo del libro, peraltro breve e ancor più breve in quanto zeppo di illustrazioni, ma secondo me è la sua sostanza. E questo libro non è meno bello di Le Benevole (vedi nel blog), ma parlarne di più vorrebbe dire farne un riassunto, e allora è meglio leggerselo, e pensarci sopra.
Facendo una riflessione sull’appropriatezza e sull’opportunità e sull’eventuale utilità dell’uso di un pensiero estetico nell’ambito politico.
Cioè per esempio, avere avuto come Presidente del Consiglio l’uomo più ricco d’Italia potrebbe essere considerata, forse, una cosa un po’ da sfigati. Come del resto potrebbe essere considerata una cosa da sfigati, e certamente un bel po’ di più, tanto da rasentare di volta in volta l’epitome della sfiga, che in tanti e quasi tutti i giorni, per un così lungo periodo se la siano presa con lui rovesciandogli e soprattutto rovesciandoci addosso camionate di stupidaggini da seconda elementare quando andava bene, che quando andava male diventavano roba da asilo.
Anche se non saprei dire se un Presidente del Consiglio che si esprime con raffinatezze da live show come quella che (gennaio 2012) se guardiamo dentro noi stessi sappiamo che ce la faremo, non saprei dire se possa essere considerato un miglioramento.
E che il partito che voleva rifondare la lotta delle masse lavoratrici avesse un capo che ci ha deliziato per tanto tempo con la squisita eleganza della sua erre moscia, potrebbe essere stata una cosa che da sola diceva tutto di quel partito e ne preparava le definizioni elettorali.
Come forse la dice lunga, di un altro partito, che abbia fatto eleggere a una carica importante un moralista che poi si scopre che non è tanto moralista e soprattutto, e questo è il punto, quando lo beccano si mette a frignare.
E forse un popolo che passa una notte del 1981 a guardare alla televisione l’agonia di un bambino caduto in una buca, con il proprio Presidente della Repubblica che ne ascolta i gemiti con degli auricolari grandi come piatti da dessert, potrebbe configurare un momento, come dire, non proprio ai vertici del buon gusto. 
In chiusura, a proposito della democrazia in generale e della nostra democrazia in particolare, mi viene in mente Giuseppe Tomasi di Lampedusa che in Il gattopardo diceva che coloro che incarnano un’idea non possono e non devono scendere al di sotto di un certo livello, se no anche l’idea patisce. (blevins)
Le cose non dette riempiono il vuoto di una forma riflessa. (Chris Abani, L’ambigua follia di Mr. Black)

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