martedì 22 maggio 2012

Jerzy Pilch


Jerzy Pilch, Sotto l’ala dell’Angelo Forte. (Fazi)
Libro trovato da mia figlia una domenica mattina in cui non ero proprio di buon umore. Trionfante, sapendo che avrei apprezzato, mi fa leggere un lungo sproloquio sulle ragioni del bere.
L’Autore è sconosciuto: scoprirò in seguito che è polacco, nato nel ’52, molto famoso dalle sue parti come giornalista. Il titolo è misterioso, ma quella copertina invasa da un bicchiere di birra mi attira molto. È lampante sin dall’inizio che lo scrittore è un alcolista entusiasta, innamorato del leggere e dello scrivere, che racconta la sua passione con uno strano linguaggio forbito, etilico ed ellittico, incomprensibile ad un astemio. Tra le parole affiora la schiuma sottile dell’ironia ed un sarcasmo benevolo di chi non si nasconde dietro falsi moralismi e nemmeno tenta di giustificare quel vizio-piacere comune a tanti. Con lo stesso tono disegna una banda di etilisti cronici, che fanno finta di disintossicarsi per continuare a bere il più possibile fino a quando l’amata morte non li conquisterà. La simpatica combriccola distrutta nel fisico ma ben motivata nello spirito non si vergogna di raccontare il piacere dell’ubriacarsi e, irriverente, se la ride dei vari terapeuti che tentano di inculcarle il disprezzo per il male del bere.
La scrittura è piacevole, il ritmo veloce ubriaca la lettura pagina dopo pagina.
Scrivere e bere, bere e scrivere, raccontando la vita di noi poveri alcolisti che beviamo per sopportare quelli che non bevono. Per noi che vogliamo velocemente trovarci sotto l’ala dell’Angelo Forte (che è il nome dell’osteria) che rimette tutto a posto. Bere per vivere, il bicchiere o meglio la bottiglia come stampella per poter affrontare tutto e tutti.
Alla fine, prima che due litri e mezzo di vodka diano un senso alla cosa, l’Autore si inventa anche un amore redentore che porta il protagonista a rifugiarsi in una idilliaca tazza di tè. È un finale che non convince o forse nasconde solo un’altra bottiglia di vodka abilmente camuffata.
Non è un’apologia dell’alcolismo ma piuttosto il bellissimo racconto di perché il perdersi nell’effetto inebriante dell’alcol è entusiasmante e vitale. Talmente bello da essere la sola cosa da fare.
Da leggere con una bottiglia a portata di mano e un’anima ubriaca a farci compagnia. (alia)
Non Le dirò che quelli che bevono sono i migliori, ma Le dirò che se non altro hanno intravisto qualcosa, qualcosa che non potevano raggiungere, qualcosa che desideravano tanto da star male. (Georges Simenon, Lettera al mio giudice

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