domenica 20 maggio 2012

John King


John King, Fedeli alla tribù, Cacciatori di teste, Fuori casa. (TEA)
La trilogia del calcio, che con il calcio e con gli hooligan c’entra per modo di dire, tre libri da leggere di fila perché insieme formano una storia grandiosa.
Fedeli alla tribù è un capolavoro, un capolavoro di stile e un capolavoro di costante profonda intensità emotiva, gli altri due sono solo romanzi meravigliosi.
Storie di quartiere che si avvicinano senza toccarsi ma si danno senso l’una con l’altra, raccontate in prima e in terza persona con cadenze aspre frenetiche e violente o con ritmi smussati e tranquilli, storie di birra, di scopate, di botte, di amori e di disperazioni, vita e morte di gente che lavora al freddo e al caldo dalla mattina alla sera quando riesce a trovare un lavoro, di pensionati e di bambini, di bariste e di lupi della finanza, nel ricordo di un tempo in cui essere inglesi voleva dire qualcosa, e voleva dire qualcosa anche sposarsi e fare dei figli.
Storie di chi “Era bianco, anglosassone, eterosessuale e ne aveva le palle piene di sentirsi ripetere che era una merda”. Il calcio, le battaglie tra gli hooligan, sono solo lo sfondo.
Di forza, si presenta il confronto con Guerra e pace, questo punto di riferimento di tutta la letteratura sulla vita e sull’uomo, cioè di tutta la letteratura. Là lo sfondo che teneva insieme tutto era una nazione in guerra e una società viva e compatta, la tensione esistenziale di tutti si muoveva verso un’umanità in progresso, con lo sguardo aperto a un futuro di impegni e di promesse. Lo stesso sfondo che si respira qui nei racconti dei reduci della seconda Guerra Mondiale, gente che aveva lottato per qualcosa e guardava avanti, mentre adesso lo sfondo sono le partite del Chelsea, uno sfondo che non tiene insieme niente, in una nazione che la guerra ce l’ha dentro, la guerra tra i ricchi e i poveri, in una società disgregata che si muove per frammenti verso un futuro disperato che in realtà è un punto d’arresto nella storia di un’umanità cieca. E l’epica vasta di Tolstoj, epica di guerra di amore e di idee, diventa l’epica povera dell’urlo silenzioso di tutti i giorni e della fatica di tirare avanti, una scopata schifosa dopo l’altra, una pinta di lager dopo l’altra, un’epica di strade sporche che cerca di ricordare la grandezza di un passato di vittorie nella battaglia per la partita Germania-Inghilterra. Battaglia per modo di dire, perché il nemico è un altro, e ci si ferma a chiacchierare con lo skinhead tedesco che dice, “Ci sono quattro milioni di turchi, in Germania, e milioni di tedeschi disoccupati”.
Un libro dopo l’altro, qui dentro c’è tutto. C’è la guerra, quella vera, c’è il lavoro, c’è la fatica e c’è il riposo, c’è un omicidio stupido e atroce in cui l’assassino ti fa quasi pena come la vittima, c’è la bellezza di una storia d’amore fatta dei gesti più semplici, c’è tutta la durezza e la rabbia e il calore dell’esistenza. 
E quando hai finito di leggere ti viene da piangere, e anche se del calcio non te n’è mai fregato niente, sarai un tifoso del Chelsea, e ti cercherai quel che si può trovare in Rete degli Headhunters . (bamborino)
Una nota a parte. I cacciatori di teste non si chiamano così per via del gioco che si fa nel romanzo, a chi scopa più donne nell’anno, ma perché gli Headhunters sono il più famoso e glorioso club di hooligan del Chelsea. E il soprannome dello scopatore della compagnia, Carter, viene da Carter USM (Unstoppable Sex Machine), un gruppo punk. 
Certe cose esistono solo perché se ne parla. (Elia Kazan, Il compromesso)

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