mercoledì 27 giugno 2012

Anatole France


Anatole France, Il delitto di Sylvestre Bonnard. (Edizioni Sylvestre Bonnard)
Ogni tanto capita di trovare un libro che oltre a dare tantissimo piacere di leggere trasuda il piacere che l’Autore deve aver provato nello scriverlo.
Io con Anatole France ho avuto un problema che è durato una vita, perché tra i libri della piccolissima biblioteca di mio padre ce n’erano due suoi, mi pare uno con un giglio nel titolo e l’altro sono sicuro che era Bergeret a Parigi, tutti e due BUR quella vecchissima, con la copertina di carta grigia. Non so cos’è stato, ma questi due non sono mai riuscito a leggerli. Cominciavo, leggevo una pagina e mi fermavo. Fino a quando il destino mi ha fatto trovare questo libro in un Libraccio, scontato in fine serie, e l’ho comperato, e per qualche oscuro motivo ho provato a cominciare a leggerlo la sera stessa, e non sono riuscito a fermarmi.
Anatole France ha una scrittura gioiosa ed elegantissima, con improvvisi arditi lampi di modernità nel passaggio dalla prima alla seconda persona, e riesce a trasformare in una specie di romanzo d’avventure due vicende sostanzialmente banali e del tutto prevedibili, legate tra loro solo dalla persona del protagonista narratore, un vecchio accademico collezionista di libri. Naturalmente non è banale e prevedibile il modo di raccontare, i personaggi sono forti e fascinosamente dipinti, gli ambienti vividamente colorati e meno che mai è banale e prevedibile il continuo intervento del narratore che nel corso della storia segnala le condizioni e le variazioni della propria interiorità.
A tratti si può avere l’impressione che l’opera sia pervasa da una sorta di ottimismo di maniera. Ma dopo la doccia fredda del finale si potrà riflettere su una visione del mondo che pagina dopo pagina si era andata svelando come sempre più profondamente pessimista.
Poi, dopo che avevo chiuso il libro, m’è venuto in mente di colpo Auto da fé e guarda un po’, la governante dello studioso bibliofilo Bonnard si chiama Teresa come la governante del professor Kien. (bamborino)
Piacevole la presenza, alla fine, di una serie di note non indicate nel testo, che senza essere obbligatorie spiegano i riferimenti letterari contenuti nel romanzo, ma a pag. 83 troviamo con al posto di col, a pag. 17 ci sono i pan speziali, a pag. 106 delle virgolette messe al posto sbagliato, a pag. 126 una tapezzeria, a pag. 157 un ciscuno, a pag.172, nel saggio che fa da postfazione, c’è un pinerottolo. Già questi errori sono difficilmente perdonabili a un editore che si richiama nel nome al bibliofilo di questo romanzo e ha in catalogo opere di storia del libro e della rilegatura e inoltre ci offre un prodotto elegante, su carta molto bella e con bellissime illustrazioni, col finale di un saggio su quel che si potrebbe immaginare della biblioteca del dotto Bonnard. Ma è del tutto imperdonabile la vergogna di un le al posto di un gli a pag. 141.
Quando uno non ha mai divampato per nulla è più triste spegnersi. (Romain Gary, L’angoscia del re Salomone)

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