sabato 9 giugno 2012

Marc Augé


Marc Augé, Un etnologo nel metrò. (elèuthera)

La metropolitana di Milano non può certo avere la pretesa di paragonarsi con quella di Parigi, ma un po’ di somiglianza c’è. Almeno quel minimo che forse può aiutare a capire la base del discorso di Marc Augé.
Che parte con il viaggio, il movimento delle persone e dei vagoni, il rapporto dei luoghi della città con il sottosuolo. Orari diversi che significano persone di volta in volta accomunate dalle destinazioni e dai motivi delle destinazioni.
Poi ci sono i personaggi che nella metropolitana non ci vanno per viaggiare ma per svolgervi le loro attività, di suonatori o di mendicanti.
Come se una volta spostate dal loro luogo di vita o di residenza e installate in un luogo che è uguale per tutti, le diverse alterità che si incontrano nella città fossero più evidenti.
Alla fine l’osservazione dell’etnologo si ferma, il movimento si arresta. Ma si arresta nel punto in cui ha luogo il massimo della dislocazione. Nei punti di intersezione, nei corridoi dove le persone passano da una linea all’altra.
Che sono intersezioni di percorsi e intersezioni di esistenze. Le esistenze degli uni si intersecano brevemente con le esistenze degli altri, e le esistenze singolari di ciascuno si intersecano l’una con l’altra nel momento della trasformazione, nel punto di percorso in cui la direzione cambia, e l’uomo che lavora diventa l’uomo che vive la propria vita di famiglia. O per un istante, lo sguardo si fissa in un volto e vi immagina direzioni misteriose.
Marc Augé sta cercando nel metrò la possibilità di un riassunto simbolico del mondo.
E forse la trova qui, nei corridoi che vengono percorsi in un momento di sospensione, tra una linea e un’altra come tra una vita e un’altra, nei manifesti pubblicitari che alla vita danno direzioni e aspirazioni, e nel discorso che apre su come si dovrebbe fare uno studio etnologico del metrò di colpo entra quella che potrebbe essere, oggi, la caratteristica fondamentale della nostra società osservata da un etnologo, che di questo mondo è parte e quindi nell’osservare non si pone dall’esterno, ma riconosce nelle diversità, nelle alterità, le caratteristiche comuni a tutti, dove forse si può trovare l’essenza della vita di oggi.
Che anche dopo il 1986 Marc Augé continuerà a cercare, in Nonluoghi e in Che fine ha fatto il futuro?.
Un'essenza che è la frammentazione, la discontinuità direzionale, l'inafferrabilità di un senso. (bamborino)


La fata, presso la quale si ha diritto a un desiderio, c'è per ognuno. Solo pochi però riescono a ricordarsi il desiderio che hanno espresso; così, nel corso della loro vita, solo pochi si accorgono che si è realizzato. (Walter Benjamin, Infanzia berlinese)

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