domenica 22 luglio 2012

Fëdor Dostoevskij


Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Le notti bianche. (Einaudi)
Irrilevante tra le opere di Dostoevskij anche se è andato bene per fare un film con Marcello Mastroianni, definitiva incarnazione cinematografica dell’irrilevanza esistenziale, perfetto qui nella sua interpretazione di uno smunto smidollato, anzi forse questo racconto è andato bene per fare un film proprio perché non è un gran che.
Ma irrilevante tra le opere di Dostoevskij non vuol dire irrilevante in generale né tantomeno scritto male o così così, siamo sempre al massimo ma in questo caso è un massimo che Dostoevskij di roba migliore ne ha scritta parecchia.
C’è sempre questa fissa di Dostoevskij giovane, cioè presottosuolo, di due uomini e una donna, che qui è pienamente  il desiderio triangolare come lo chiama René Girard in Menzogna romantica e verità romanzesca, e anzi credo che in Le notti bianche questo tema compaia per la prima volta, ma qui non c’è né la potenza farsesca della storia del povero ragazzino né la potenza emotiva di I fratelli Karamazov, qui tutta la faccenda è potentemente fiacca e si limita agli spropositi di questi due cretini, lui e lei, che s’incontrano di notte e forse s’innamorano e sicuramente si lasciano ma lei è lì che aspetta un altro, in mezzo a una fila di considerazioni melense sulla tristezza della vita eccetera, con lui, impareggiabile imbecille e grande campione del desiderio triangolare à la Girard, che si offre di portare all’altro le lettere d’amore della bella, e con annessa la solita storia che la fanciulla propone di mettere in piedi eventualmente un rapporto a tre. E forse in questa grandezza di Dostoevskij nel dare il senso di queste triangolazioni, qui c’è anche un parziale riconoscimento della confusione esistenziale, vedi sempre René Girard, tra soggetto e mediatore.
Ma siccome Dostoevskij è sempre un po’ più avanti anzi parecchio più avanti, nella storia dei due c’è infilata un’altra storia, e soprattutto c’è lo spillone.
Le notti bianche è cortissimo e quindi la faccenda dello spillone non la racconto, se la volete sapere vi leggete il libro, che a leggere Dostoevskij si fa sempre comunque una bella cosa, e magari Le notti bianche vi piace tantissimo e già che vi ho detto che il resto di Dostoevskij è infinitamente meglio cominciate da lì e non vi fermate più.
Ma quello che conta è che dalla trovata dello spillone si può fare una riflessione sulle pirotecniche mirabolanti trovatine degli scrittori postmoderni (vedi post su James Purdy e Donald Barthelme, e anche su Chuck Palahniuk, e non abbiamo fatto un post ma mi sembra di ricordare anche Paul Auster che racconta di uno che viveva sottoterra e faceva la raccolta degli elenchi telefonici), che non hanno inventato niente e fanno solo ridere, ma non nel senso che sono spiritosi. (moll)
Una parola, uno sguardo possono cancellare anni di felicità, e sono tanto più crudeli quanto maggiormente contrastano con una abituale dolcezza, giacché la nostra natura ci porta a sentire maggiore dolore per una dissonanza nella felicità che piacere per un attimo di gioia provato nella sventura. (Honoré de Balzac, La ricerca dell’assoluto)

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