venerdì 24 agosto 2012

George Steiner


George Steiner, Una specie di sopravvissuto. (Garzanti)

Ho già fatto riferimento a Linguaggio e silenzio di George Steiner (di cui va tenuto presente il sottotitolo, Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano) nel post su Pamela di Samuel Richardson.
Segnalo adesso un altro dei saggi del volume, Una specie di sopravvissuto.
Che ovviamente non mi sogno nemmeno di riassumere ma di cui indico qualche argomento, per invitare a non farsi mancare questo scritto nel contesto di una riflessione sul Novecento e sui tempi attuali. Nel contesto di una riflessione e di eventuali conversazioni sugli stessi temi, che il saggio di Steiner aiuterà a mondare dal coacervo di scemenze che di solito si producono in queste circostanze.
In diciotto pagine (18) abbiamo un trattamento abbastanza esauriente (esauriente, non esaustivo) dell’importanza degli ebrei nel pensiero occidentale degli ultimi duecento anni, di come si sia generato questo essenziale contributo e di come questo contributo sia in realtà un apporto fondativo.
Non mancano considerazioni sulla natura e sulla condizione attuale del linguaggio, sulla natura ideale del marxismo, sulla globalizzazione (Steiner scriveva nel 1967) e sulle tendenze della politica internazionale, in cui George Steiner mostra di essere stato, più di quarant’anni fa, molto ma molto avanti.
Così come ci potremo aprire uno spazio di discorso interiore, valido per tutti, sul rapporto tra gli uomini e Dio.
C’è poi una riflessione agghiacciante su una eventuale possibilità che gli eventi che hanno immediatamente preceduto la Seconda Guerra Mondiale (che con finissima ironia ebraica Steiner definisce “strampalata”) fossero andati in un altro modo, considerazione profondamente legata a come vanno le cose adesso a proposito di mezzi di comunicazione di massa pubblicità e viaggi e turismo. La riflessione si allarga ad un commento sul fatto che i comandi alleati non potevano non sapere quel che succedeva ad Auschwitz eccetera, e qui mi metto con lui nel dire che su questa guerra non ce l’hanno raccontata e continuano a non raccontarcela giusta.
Si conclude con alcune importantissime considerazioni sullo Stato di Israele (ben confrontabili con il libro di Ilan Pappe, Storia della Palestina moderna), validissime adesso anche se datate di quarant’anni, anche queste indispensabili per un minimo di riflessione e per eventuali conversazioni in cui le scemenze dette siano, se non assenti, almeno il più possibile limitate. (bamborino)

Se per questo saggio specifico non si possono fare appunti alla qualità editoriale, va rilevato che in altri saggi il trattamento delle note a piè di pagina è addirittura grottesco: sono fuori posto, interrotte, un pezzo qua e un pezzo là, tanto che sembra difficile non pensare a una deliberata presa in giro del lettore, che peraltro ha pagato il libro in moneta sonante (o in carta frusciante, o nel silenzio del Bancomat).




È la fitta azione reciproca tra le diverse forme di percezione e d’esperienza che rende grandi il V secolo a.C., il Cinquecento e il Novecento. Ma poche persone hanno trovato piacevole vivere in questi intensi periodi nei quali tutto ciò che dà garanzia di familiarità e sicurezza si dissolve per configurarsi nuovamente nel giro di pochi decenni. (Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare)

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