John King, Human Punk. (Guanda)
Slough, Inghilterra 1977.
Hai quindici anni e vivi a Slough, Inghilterra. Ai margini. Ai margini di Londra e ai margini un po’ di tutto. Miseria, poco lavoro, duro e mal pagato. A Slough abbiamo aiutato a costruire Londra e quelli in cambio ci hanno dato la merda che non volevano. A Slough non c’era niente da fare a parte bere e fare a botte. A Slough non se ne vedevano studenti di lettere e tagli di capelli da cinquanta carte.
A Slough se ti va bene hai i DocMartens a dieci buchi, il Chelsea e la musica. E in Inghilterra nel ‘77 musica vuol dire David Bowie, Brian Ferry e Roxy Music, Elvis Costello, Madness, Elton John ma soprattutto punk e dintorni. Sex Pistols, Clash, Jam, Stranglers, Jam, Ramones, Stiff Little Fingers, dr. Feelgood, Damned e tutti gli altri.
E il punk e la musica sono quello che il calcio è in Fedeli alla tribù . Così come quello che si racconta qui è sostanzialmente quello che si racconta negli altri libri di King. Quello che cambia è il ritmo. Che è come una canzone punk. E quello che cambia è anche che per un ragazzino di quindici anni c’è ancora uno spiraglio. In fondo può anche andar bene così. O un giorno potrà andare bene. Prima o poi. Insomma vivo a Slough ma non ho mai pensato di andare da nessuna parte. Dove sono mi piace. Cioè una settimana al mare benone, ma vedere il mondo non mi interessa.
Pechino, Cina 1988.
La scuola e poi la fine della scuola. La scuola la odiavi ma poi una mattina ti rendi conto che per i prossimi cinquant’anni dovrai lavorare cinque giorni alla settimana. Nel migliore dei casi. E così alla fine il mondo sei andato a vederlo. E non è stato ’sto gran che. E ti rendi conto che la gente riesce a incasinare la vita in qualsiasi posto che vai e che comunque i soldi inculano tutto quello che toccano. E la musica punk è ancora quello che ti tiene in piedi. Quello che ti serve per andare da un venerdì all’altro.
Slough 2000.
Sei tornato a casa. Hai trentotto anni. Non c’è più niente da dire. Tutto è già stato detto, e non se n’è accorto nessuno. Tiri semplicemente avanti. Come tutti. Anche se ci sono stati di mezzo dei morti, uno che s’è impiccato e uno che l’hanno ammazzato. Perché non c’è altro da fare. Ti sei messo su un lavoro che ti piace, hai una donna con cui stai bene mangi il tuo cibo e ti metti comodo mentre tutto va a posto, contento che la porta è chiusa e tu sei dentro e il disco gira e oggi chissenefrega delle parole. Il mondo è sempre lì fuori che ti aspetta, ma almeno per ora non ti prende alla gola. Ogni tanto ti viene ancora di cercare di farti valere. Un po’. Ma non ti prendi mai troppo sul serio. Non ce la faresti neanche volendo. E questo ti salva.
E c’è sempre il punk. Quello vero. Non le spille da balia e i bidoni dei rifiuti. Il punk è la musica anti-moda, musica da boot boy con dei testi che sono la tua vita di tutti i giorni. Il punk che aveva sgamato la faccenda ma teneva il suo senso dell’umorismo, che si prendeva per il culo da solo. Il punk, di Rotten, Strummer, Weller, gente che non aveva bisogno di fingere niente, scrivevano solo quello che gli stava già marcendo dentro. Uguale ad altri milioni di persone che si sentivano allo stesso modo. Stavano proprio dentro la tua vita. Tiravano fuori quello che tu sai già ma che di tuo non riesci a mettere giù bene. Come John King.
Leggete il libro con i Pistols o i Clash nelle orecchie e amerete il punk e il libro. (zarlingo)
C’è una stranezza nella traduzione, per cui poco dopo l’inizio si parla di DocMartens a dieci passanti. Ma in italiano nessuno chiama passanti i buchi in cui si infilano le stringhe delle scarpe, in italiano si chiamano buchi. Soprattutto quelli dei DocMartens, il cui modello storico viene chiamato appunto, anche nei negozi, “otto buchi”. Come si fa a tradurre un libro sul punk e non sapere queste cose. E soprattutto come si fa, quando si è prodotta una cosa bellissima come la traduzione dell'explicit, dove "to do the right thing" in italiano è uno "scegliere bene" che nella nostra lingua rende molto meglio l'idea e chiude quasi con una poesia questo libro superlativo.
Tutti gli stronzi non sopportano di sentirsi dare dello stronzo. (Jerome D. Salinger, Il giovane Holden)
Nessun commento:
Posta un commento