Silvio D’Arzo, Penny Wirton e sua madre. (MUP)
Pur nella convinzione che Silvio D’Arzo sia stato con Casa d'altri uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento e di sempre, uno dei pochi scrittori italiani di statura mondiale, non arrivo a dire che abbia scritto solo capolavori.
Quindi non dico che Penny Wirton e sua madre è un capolavoro, anche se nell’ambito della letteratura per ragazzi non è nemmeno lontanamente paragonabile a Marcovaldo.
O meglio, credo che sia il caso di domandarsi se Penny Wirton e sua madre, scritto in uno stile pesantemente ragazzinesco, o ragazzettale, o tardinfantile o preadultico, possa essere considerato o meno un capolavoro, e se possa essere considerato un capolavoro nell’ambito della letteratura per ragazzi o in un ambito più esteso, che si potrebbe definire letteratura di ammaestramento etico.
E tutto sommato in questo senso la qualifica di capolavoro secondo me se la merita perché dopo che lo si è finito ci si rende conto che la storia apparentemente banale e prevedibile di un bambino che scappa da casa e torna all’ultimo momento avendo scoperto che la madre non solo è disperata ma se la sta vedendo brutta e il bambino tornando la salva, la qualifica di capolavoro forse in fondo se la merita perché ci si accorge che questo romanzino in realtà tratta della menzogna come aspetto essenziale dell’esistenza.
Con un bellissimo personaggio, il Cieco, che è una menzogna vivente e sarà quello che alla fine svelerà le menzogne di tutti.
Menzogne buone, menzogne cattive, menzogne che portano alla rovina e menzogne che salvano. Menzogne e imbrogli, piccoli e grandi.
Ma in fondo già Dante aveva riservato alla frode e al tradimento metà dell’Inferno. (moll)
L’uomo è fatto così, buono e cattivo. Eppoi si è sempre disgraziati. (Grazia Deledda, Canne al vento)
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