sabato 24 novembre 2012

Dean Falk


Dean Falk, Lingua madre. (Bollati Boringhieri)

E così possiamo dire ancora una volta che la Bibbia aveva ragione.
Perché a parte il fatto che come ho già detto nel post su Non occorre essere stupidi per fare sciocchezze di Paolo Legrenzi io sono incrollabilmente convinto che il Sole gira intorno alla Terra e non viceversa come del resto si può vedere tutti i giorni e come giustamente è anche nei modi di dire e comunque così è nel mio dominio fenomenico, in questo bellissimo libro si viene a scoprire che il linguaggio comincia con le donne e con i bambini, e il linguaggio è il pensiero cioè la conoscenza vedi albero della conoscenza del Bene e del Male, Genesi 2.17, e la conoscenza e il linguaggio è come dire l’Homo Sapiens e l’Homo Sapiens ha la stazione eretta che ha portato a restringere il canale del parto e quindi come dice la Bibbia, donne conoscenza e partorirai con dolore.
Se Dalla mano alla bocca di Michael Corballis butta lì l’ipotesi dell’origine del linguaggio dal gesto e fa un discorso sul linguaggio rispetto alla nostra specie, in questo libro secondo me senza negare più di tanto quello che dice Corballis la Dean Falk aggiunge una teoria bellissima su come il linguaggio origina non solo per la specie ma per ogni singolo individuo attraverso le prime comunicazioni tra mamma e bambino, che avvengono in quel linguaggio fatto di variazioni ritmiche e d’inflessione che Dean Falk chiama maternese e che è presente senza grandi differenze in tutte le epoche e in tutte le culture di tutto il pianeta. Comunicazioni che cominciano da quando i piccoli della specie umana perdono la capacità di restare attaccati alla madre mentre si sposta, e cominciano a sviluppare tra l’altro modalità di rapporti interpersonali che nascono dallo scambio di sguardi e portano alla teoria della mente che in questo testo è oltretutto spiegata molto bene, vedi anche Menti morali di Michael Gazzaniga.
Una teoria su quale sia il punto di origine del linguaggio come capacità biologica caratteristica della nostra specie e come attività esistenziale di ogni singolo essere umano.
Così qui si parte dalla commovente descrizione del rapporto con la madre dei piccoli scimpanzé e attraverso un’affermazione dell’importanza del gesto nella comunicazione si passa a uno studio antropologico del parto, del pianto infantile considerato anche nel suo senso evoluzionistico, e dell’infanticidio anche questo considerato come modo di proteggere la specie.
Ma questo libro è l’antropologia dell’infanzia e dello sviluppo della persona nel suo essere individuo singolo e nel suo essere individuo in continuo rapporto con gli altri, antropologia dell’infanzia e del rapporto della mamma con il suo bambino che pensa te il complesso di Edipo non se lo fila nemmeno di striscio, ma chissà come fanno questi antropologi a parlare di sviluppo dell’infanzia senza Edipo e senza fase orale e fase anale, ma invece si parla delle differenze tra il cervello degli uomini e quello delle scimmie e della storia dello sviluppo del cervello assieme allo sviluppo del resto dell’organismo sia nell’individuo singolo di oggi sia nelle diverse specie di ominini, cioè i nostri predecessori, e se dovessi fare un riassunto sarebbe un po’ una cosa come riscriverlo da capo più in fretta e innanzitutto sarebbe una fatica tremenda e in secondo luogo non sono capace.
Insomma si parla del perché i bambini piangono e di come piangono e dei rapporti che ci sono tra il pianto il maternese e l’origine della musica, del rapporto con la voce della madre che comincia già durante la vita intrauterina, degli insospettabili rapporti tra monogamia e canto, dello sviluppo della capacità di distinguere le parole l’una dall’altra nel flusso sonoro ininterrotto del linguaggio.
Perché siccome questa è una cosa che capita a tutti, uno non se lo domanda, come fa un bambino a essere capace da subito di distinguere le parole l’una dall’altra, e in questo libro si parla anche di questo piccolo miracolo di tutti i giorni.
Poi c’è una bellissima ipotesi cardiologico-affettiva del perché usiamo la destra più della sinistra che non è che tenga un gran che ma è proprio bella.
Insomma un libro in cui c’è di tutto e in cui si coglie bene la profondità del rapporto tra il pensiero e il linguaggio, anche nella costruzione della sintassi a partire dal gesto e nei rapporti tra la teoria della mente e la possibilità di elaborare una conoscenza dei toni di voce degli altri, e in cui si mostrano le differenze nei rapporti tra adulti e bambini e le differenze nel modo di considerare i bambini nelle diverse culture.
Di tutto proprio nel senso di tutto, perché c’è anche un discorso sull’arte che conferma quanto già detto da Jean-Pierre Changeux in Ragione e piacere e a questo proposito sarà bellissimo partire da una nota di Lingua madre e andare a scoprire qualcosa su tre milioni di anni di arte preistorica.
E c’è l’osservazione, secondo me non sviluppata da Dean Falk fino in fondo, che se il linguaggio nasce nel rapporto con i bambini e se è un fatto che si è capaci di produrre il linguaggio solo se si viene esposti al rapporto interpersonale tra la nascita e i tre-quattro anni, forse la capacità biologica del linguaggio non è nata dai gesti e dalle urla dei cacciatori adulti che si facevano segnalazioni, ma proprio dai bambini che stavano con le donne. Cioè qui salta fuori con evidenza il fatto che dice Humberto Maturana in Autocoscienza e realtà che il linguaggio non ha la funzione di trasmettere informazioni tra gli individui ma esiste per fare quella che lui chiama una coordinazione consensuale ricorsiva delle coordinazioni consensuali di azioni e distinzioni in un qualsiasi dominio dell’esperienza cioè della conoscenza, insomma in parole povere come viene di dirlo a me il linguaggio serve per sentirci che siamo persone e stiamo con le altre persone.
Come la mamma e il bambino del tempo del cacciatore-raccoglitore che non potevano stare insieme sempre come le scimmie perché le femmine della nostra specie non avevano pelo cui i cuccioli si potevano attaccare e allora si tenevano in contatto facendo dei versi che poi sono diventati il linguaggio.
E quindi secondo me questo libro se lo dovrebbero leggere tutti quelli che aspettano un bambino o che hanno un bambino piccolo, oltre che tutti gli altri.
Con uno dei punti più entusiasmanti nell’ultimo capitolo, in cui si mostra come la coscienza etica sia sostanzialmente innata e sia già presente all’età di sei mesi, che fa bene sperare per le possibilità di un eventuale futuro meno schifoso per tutti.
Chiudo segnalando che Dean Falk in questo libro spiega anche l’antropologia di un fenomeno che recentemente ha lasciato a bocca aperta molti italiani, cioè che le femmine dei primati preferiscono i maschi d’alto rango, e che questo accade soprattutto alle femmine di basso rango. E spiega a chi non ci arriva da solo anche il senso evoluzionistico di come mai da sempre accada più facilmente che donne giovani si mettano con uomini vecchi mentre accade raramente che uomini giovani si mettano con donne vecchie, che ci arriverebbe da solo anche l’ultimo degli imbecilli ma lasciamo perdere.
E ci sono anche tante altre cose che riguardano la struttura dei rapporti tra uomini e donne e la struttura dei rapporti famigliari. Per esempio che la paternità è un fatto molto più culturale di quel che sembra, cosa confermata secondo me dal fatto che i padri di oggi chiamano amore i figli maschi anche già abbastanza grandini e li portano ai giardinetti, mentre mio papà mi chiamava con il mio nome e nel tempo libero andava al bar e non stava a casa a rompermi le balle e nelle rare occasioni che si andava in giro insieme non si comportava come un pederasta. (saposcat)

Lodi e benedizioni per l’indice all’inizio e per le note a piè di pagina, altre lodi per la rilegatura e la meravigliosa carta piacevolissima sotto le dita, ma una lamentela per l’inchiostro della stampa, che se fosse stato un pochino più scuro avrebbe agevolato la lettura soprattutto delle note.
A pag. 21 c’è il solito adattivo invece di adattativo, ma mi sa che questo schifo ce lo dobbiamo tenere così, che è proprio un peccato ma c’è poco da fare, le lingue cambiano e tra un po’ il grafoletto (vedi Oralità e scrittura di Walter Ong) planetario sarà l’inglese e amen. Poco sotto, nella stessa pagina, l’autrice attribuisce un inconscio alle scimmie e vogliamo sperare che l’inconscio non si tiri dietro il conscio. A pag. 59 c’è un cominciò invece di cominciarono o un pasticcio generalizzato della frase, e c’è un pasticcio sintattico anche in una frase a pag. 84. A pag. 181 c’è un termali che fa un po’ ridere, termiche andava meglio. A pag. 237 il titolo originale del primo film di James Bond, Dr. No, viene giustamente tradotto in italiano ma in italiano è Licenza di uccidere e non Licenza d’uccidere, a pag. 241 la figura che segue in realtà è nella pagina precedente, a pag. 243 nota 50 c’è microfalia invece di microcefalia, e coinvolti invece di coinvolte.
Una discussione a parte la merita il genere degli acronimi. Cioè la NSL è una lingua ma come si trova in altri testi forse in italiano l’acronimo sarebbe meglio considerarlo maschile traducendo Nicaragua Sign Language come linguaggio. Va peggio con Theory of Mind che in italiano è la Teoria della Mente, femminile, e quindi l’acronimo TOM usato in italiano, da neutro che è in inglese secondo me dovrebbe diventare in italiano la TOM e non il TOM, che sembra spiritoso ma fa solo ridere di sé.




Ne abbiamo fin sopra i capelli, dell’umano. (Romain Gary, Mio caro pitone)

Nessun commento:

Posta un commento