lunedì 26 novembre 2012

Alfred Hayes


Alfred Hayes, Una forma di amore. (Rizzoli)

Il titolo originale è In love. Innamorato, semplicemente. O innamorati, come suggerisce la bella postfazione di Irene Bignardi, e il plurale probabilmente è più vicino al pensiero dell’Autore. Invece l’hanno tradotto così, come se la storia parlasse di un amore di un tipo particolare.
Ma in realtà ogni amore è un amore di un tipo particolare.
Gli innamorati sono tre ma quello che conta è il narratore protagonista, la storia è la sua e quelle degli altri girano intorno alla sua storia, o meglio ci passano dentro.
O la costeggiano. Perché l’io narrante qui rimane sempre in una posizione periferica rispetto agli altri. Nella condizione di negoziazione di cui dice George Steiner nella citazione che accompagna questo post.
Storia di un amore o non si sa, forse sarebbe più giusto dire innamoramento, ma l’innamoramento è comunque amore, per poca che sembri la sua durata in un tempo che non ha definizioni ed estensioni che non siano soggettive. Una storia dei modi dell’amore nel tempo, nel cambiare della persona, nelle variazioni dei dubbi su sé stesso e sugli altri.
Cioè si comincia che lui ama lei, poi lei incontra l’altro, lui è consapevole dell’incontro e lo segue nei suoi sviluppi, lei lo lascia e se ne va con l’altro, e a questo punto è lui, il narratore, che si trova ad essere diventato l’altro.
E il narratore si mantiene in una posizione periferica rispetto agli altri ma anche e soprattutto rispetto a sé stesso. Perché se noi abbiamo coscienza, è coscienza intenzionale cioè coscienza di qualcosa, e la perifericità è una condanna, anche nella riflessione su noi stessi, che ci viene da quella capacità di riflessione distaccata che ci è stata data da quel distanziamento dal mondo che c’è nell’uso della modalità sensoriale della vista, che è la nostra modalità sensoriale dominante da quando abbiamo inventato la scrittura, e più che mai da quando abbiamo inventato la tipografia, che esteriorizza il pensiero e lo fissa sulla pagina.
Così Una forma di amore è una tremenda meravigliosa espressione del pensiero dell’Era Tipografica. Ed è una tremenda meravigliosa formidabile espressione di emozioni pensate.
Un romanzo che è uno studio sulla variabilità e sull’incertezza di sé stessi e degli altri, che si esprime attraverso una forma stilisticamente vertiginosa, con passaggi dalla prima alla terza alla seconda persona che lasciano senza fiato e forse concorrono ad evidenziare la condizione di perpetua mancanza di precisione del pensiero e del vissuto del sé.
Uno studio sulla porosità del concetto di verità, sulla variabilità e sull’inesistenza delle certezze interiori, che con Humberto Maturana, ma si rimanda anche a Walter Ong e a George Steiner, potremmo dire che sono anche le stesse certezze che possiamo avere nei confronti della realtà che ci circonda. O che crediamo di sapere che ci circonda, mentre siamo noi a ricostruirla di momento in momento.
In quella fatica di negoziazione mai conclusiva che portiamo avanti anche con noi stessi, nella ricerca continua di quel che siamo.
Una forma di amore potrebbe essere considerato un romanzo fenomenologico. O un romanzo esistenzialista. Perché non credo che ci sia in realtà un’altro luogo possibile per l’introspezione e per l’avvicinamento all’Essere, che non sia quel misterioso punto d’intersezione con l’Altro che troviamo nell’amore. (bamborino)

Nel testo c’è una piccola comica, chissà se dovuta ad Alfred Hayes o al traduttore, che a pag. 21 si dice che un tale lavora nel campo dell’agricoltura. Si informa inoltre che la storia dell’uomo al quale cade il didietro quando si toglie la vite dall’ombelico, a pag. 47, c’è anche in V. di Thomas Pynchon.
E non si può non dire che Alfred Hayes oltre ad avere scritto questo capolavoro ha fatto parecchie altre cose degne di nota, anche per il cinema italiano.




L’amore più intenso, forse più debole dell’odio, è una negoziazione, mai conclusiva, tra solitudini. (George Steiner, Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero)

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