giovedì 6 dicembre 2012

Raymond Queneau


Raymond Queneau, Esercizi di stile. (Einaudi)

Nella misura in cui (bellissimo, nella misura in cui, fa tanto anni Sessanta) noi, come dice Humberto Maturana in quanto esseri umani, esistiamo nel linguaggio, questo capolavoro non deve e non può mancare tra i nutrimenti dello spirito di un essere umano che si voglia elevare al di sopra delle fiere che in totale bestialità si aggirano per le selve selvagge e aspre e forti e comunicano tra di loro emettendo suoni inarticolati.
Si tratta di un fatto banale, raccontato in poche parole in tutta la sua definitiva qualsiasità. Raccontato una volta e quindi raccontato di nuovo, in novantanove versioni diverse in tutti gli stili possibilmente pensabili, oltretutto in una mirabile traduzione di Umberto Eco.
Cioè le possibilità del linguaggio come possibilità dell’esistenza in tutta la varietà dei suoi modi.
Quello che non è pensabile finché non lo si tocca con mano è il piacere continuo di una simile lettura, mai faticosa perché i raccontini sono tutti brevissimi e quasi sempre ultracomici.
Un libro da leggere e rileggere per tutta la vita, da regalare a destra e a sinistra, da tenere in macchina per averlo pronto nei momenti di sconforto dovunque si vada, da lasciare in bella evidenza al cesso perché anche i nostri ospiti in un momento di isolamento possano trovare un’occasione di inarrivabile svago di altissimo livello di cui ci saranno grati per sempre.
Non c’è altro da dire. (blifil)




Che rarità, un uomo che eviti di parlare, di riferirsi continuamente ai suoi genitori e ai suoi figli per darsi corpo. (Aldo Busi, Vita standard di un venditore provvisorio di collant)

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