domenica 24 febbraio 2013

Michel Faber


Michel Faber, I gemelli Fahrenheit. (Einaudi)

La copertina presenta bene il contenuto del libro.
C’è un racconto di uno che si è perso e si ritrova con addosso una maglietta speciale per cui va a finire in un posto dove raccolgono i barboni dispersi e qui si scopre che sul davanti della maglietta ci sono scritte le circostanze della scomparsa e probabilmente sul dietro c’è scritta la storia della loro vita ma in maniera incomprensibile e comunque è vietato leggerla, e nel posto ci sono letti a castello di dodici piani e altro.
C’è un racconto su un tale che si sveglia dopo cinque anni di una specie di coma e in famiglia c’è un certo imbarazzo.
C’è un racconto con una ditta che impianta nelle case finestre tecnologiche che fanno vedere il panorama che si vuole.
C’è un racconto in cui sessantasei facoltosi uomini d’affari si trovano più o meno periodicamente nella sala conferenze di un albergo di Giacarta per ascoltare una giovane indonesiana che fa una specie di lezione sulle noci di cocco e si masturbano nell’ascoltarla, con chiusura del racconto sulla triste condizione del sessantasettesimo, che ha perso l’aereo e si trova lì, all’aeroporto, sperduto e disperato.
C’è un racconto con un tale che ammazza tranquillamente due donne e poi per sbaglio va a casa della mamma.
C’è un racconto con due bambini che vivono in una tundra polare e vanno da soli a portare in slitta e cani il cadavere della madre in una casa e quando tornano trovano il padre con un’altra donna e allora se la filano in elicottero.
Faber ha una scrittura sciolta e piacevole ma in questi racconti la rappresentazione del disagio esistenziale postmoderno si arrampica per situazioni estreme e appare decisamente voluta e suona in qualche modo falsa e soprattutto vuota.
E fredda.
Forse perché all’Autore manca il dono dell’ironia e nell’incapacità di decidere tra la fantascienza e il realismo lo sforzo vano di essere come Kafka e di battere Philip Dick e Raymond Carver si fa sentire troppo e si comunica al lettore, che riesce ad arrivare fino in fondo ma al prezzo di qualche fatica.
E allora di kafkiano c’è questo, che sono duecentocinquantasei pagine di idee geniali ma alla fine è come non aver letto niente. (blifil)




Essere morti è della massima importanza. (Virginia Woolf, La festa)

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