lunedì 6 maggio 2013

Peter Cameron


Peter Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile. (Adelphi)

Il titolo fa prevedere una porcheria buonista e oltretutto il libro me l’aveva regalato una persona di gusti letterari assai sospetti (aveva definito “pieno di energia” I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante), con il risultato che prima che lo leggessi è passato un anno. E dopo un anno ho scoperto che il titolo era sarcastico: è uno dei libri più cattivi che io abbia mai letto.
Attraverso la voce dolce di un adolescente, au bout dell’adolescenza, passa una storia carica di stanchezza di disperazione e di disprezzo per tutto e per tutti: “…il mondo è un posto di merda e non fa che peggiorare”.
Un libro che mi fatto subito venire in mente il Viaggio al termine della notte e L’educazione sentimentale. Come nel Viaggio, anche qui c’è qualche buono che si salva ma se Bardamu tira avanti, in qualche modo dai tempi di Céline il mondo è cambiato e il James di Peter Cameron alla fine si rende conto che non c’è niente da fare e cede. Per uno come lui non c’è posto e decide di adattarsi in qualche modo. Cede ma non del tutto.
L’estensione del disprezzo è totale, dal personale al sociale, e tutto ciò che non è profondamente orribile qui è profondamente stupido e come Céline, Peter Cameron riesce a mettere in ridicolo situazioni che nelle mani di uno scrittore buonista sarebbero drammatiche.
Ma la vicinanza a Céline non è solo con il Viaggio perché come ha detto un altro grande, Richard Yates, nel Novecento il tema della letteratura è diventato la famiglia, la nuova famiglia che compare pienamente in questo secolo e che, con una manovra di riscrittura della storia degna del 1984 di George Orwell, viene considerata dalle psicologie come la famiglia naturale da sempre. Nel romanzo di Cameron lo schifo si consuma quasi tutto in famiglia come in Morte a credito, e come i protagonisti narratori di Céline anche James è sostanzialmente uno stronzo che non vuole fare le cose come vanno fatte e per di più uno stronzo dispettoso che anche quando non fa apposta genera comunque disagio nelle persone che ha intorno. Oltre ad essere quello che si dice un perdente.
Ma anche questo è un fatto essenziale. Nella grande letteratura moderna, l’Eroe è sempre uno stronzo e un perdente, dalla Merteuil di Laclos al grandissimo Heathcliff a Emma Bovary e poi alla Emily Grimes di Yates a tanti personaggi di Wallace (di cui forse Cameron in quest’opera fa una citazione). E in un mondo dove per essere dei vincenti bisogna avere determinate caratteristiche, conservare un minimo accettabile di umanità vuol dire essere dei perdenti e degli stronzi, e anche se si crede di poter scappare, il luogo della fuga, come la casa in campagna che James vorrebbe comperare, tra poco tempo diventerà anche peggio del posto dove sei adesso.
Alla fine la salvezza di James è in un posto che non è un posto e dove lui sostanzialmente non ci può nemmeno essere, un deposito dove mette quel che gli resta di buono della sua vita. Come dire, ti puoi salvare solo se hai qualcosa di tuo e decidi di tenerlo nascosto. (bamborino)

P.S. Secondo il protagonista di questo romanzo, leggere Anthony Trollope è una delle cose migliori che si possano fare nella vita. Siamo d’accordo con lui.




Nei pubblici passeggi e nei ritrovi di una città, la gente va per vedere e per essere vista, e lì la stessa espressione si ripete cento volte con poche varianti. Ma nei giorni di lavoro lo sguardo è più vicino alla verità e la rivela più chiaramente. (Charles Dickens, La bottega dell’antiquario)


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