Anne Carson, Antropologia dell’acqua. (Donzelli)
Sottotitolo, Riflessioni sulla natura liquida del linguaggio.
Non è che mi capiti spesso, di bagnare un libro. Anzi non mi capita quasi mai. Ma questo qui, sarà stato il titolo, meno di due ore dopo che l’avevo comprato e avevo letto solo l’inizio tanto per farmi un’idea, stavo spostando una tazza di caffè solubile troppo piena e ciaff, un attimo d’incertezza della mano e una piccola ondata di caffè s’è rovesciata sul libro. Poco danno, perché il libro era chiuso e sono riuscito ad asciugare tutto quasi immediatamente. Ma intanto il libro sull’acqua s’era bagnato.
La prima parte si intitola Tipi di acqua. Un saggio sul Cammino di Compostela. Racconto del pellegrinaggio, a piedi. Una lettura tranquilla, addirittura riposante. L’ho fatto scorrere un po’ alla volta, mentre leggevo altro, ed era sempre un momento di pace, in mezzo a letture a tratti fosche, o in mezzo ai soliti faticosi turbamenti delle giornate qualsiasi.
La narrazione prosegue con la lentezza del percorso passo dopo passo, attraversa paesaggi raccontati con colori che diventano odori, luci, suoni, caldo, freddo, sensazioni delicate e sensazioni forti.
Partizioni brevi, intitolate ai luoghi del pellegrinaggio, ogni capitolo preceduto da un haiku.
Una locanda, un ponte, un villaggio, la strada, i fiori, i sassi, l’acqua nelle sue diverse apparizioni, ombre di conversazioni con il compagno di viaggio, qualche parola sull’amore, sulla vita. In chiusura quasi sempre, staccata, qualche parola sui pellegrini, frasi che potrebbero essere considerate varianti di haiku.
Come un piccolo poema. Bellissimo.
Ma se vogliamo, titolo e sottotitolo del libro non è che promettono bene, fin dalla copertina. Cioè cosa vorrà mai dire, antropologia dell’acqua, e la natura liquida del linguaggio, cosa sarà mai. E purtroppo il resto del libro è su questa linea.
Solo per il brivido. Un saggio sulla differenza tra donne e uomini è di nuovo un viaggio, questa volta in automobile, attraverso gli Stati Uniti. Anche questo viaggio in compagnia di un uomo. Ma qui il compagno di viaggio è un amante. E la scrittura poetica perde semplicità, diventa sforzo. Per esempio, Scoloriamo lungo strade pizzicate fino a inaridirsi come le note di uno xilofono. Lo xilofono si pizzica? Vengono in mente i germogli di sempre alari di infiniti camini boschi che ardono parole e infine inganni nella faccia pagana di Alda Merini, e vengono in mente anche le idee verdi incolori che dormono furiosamente di Noam Chomsky, che non voleva scrivere una poesia ma solo far vedere che il significato è una parte ineludibile del linguaggio. E poi Anne Carson dice, semplice come la struttura di una proteina: andate a cercarvi una figura dell’emoglobina, per dire una proteina non delle più incasinate, e vedrete che semplicità.
Nell’insieme forse lo scritto potrebbe essere considerato una relazione noiosissima sulle proprie difficoltà sessuali, scontatamente impiastricciate dal ricordo del padre. Con la gratuita generalizzazione, che siccome qui la donna ha dei problemi e l’uomo no, la differenza tra gli uomini e le donne potrebbe essere questa, che le donne si fanno più problemi degli uomini. Per carità, padronissima di pensarla così.
Peggio ancora Margini d’acqua. Un saggio di mio fratello sul nuoto. Qui abbiamo un giro di vite, nel senso che proprio non si capisce niente. Non si capisce nemmeno il senso generale della cosa.
Mi viene in mente Mallarmé. Nella seconda metà dell’Ottocento succede un casino. Compare questa novità, la letteratura in cui non si capisce niente. Che continua con abili furbastri come Dylan Thomas, (lo dice George Steiner, che è un furbastro) solo per dirne uno, e arriva fino ai nostri giorni con i fasti degli applausi generali ad Alda Merini.
Io non dico che Alda Merini non mi piace. Non ci arrivo nemmeno a saperlo, se mi piace o no. Perché non capisco niente, come non capisco niente di tanti altri poeti moderni e mi fermo lì, sulla soglia di un silenzio che è una mitraglia di parole, e mi viene in mente ancora George Steiner che nel saggio Il silenzio e il poeta in Linguaggio e silenzio parla di Dante che nel Paradiso riconosce i limiti del linguaggio di fronte alla luce. Steiner parla anche dell’altro limite di fronte al quale il linguaggio si ferma, la musica.
E nella seconda metà dell’Ottocento il linguaggio della poesia si disarticola come la musica.
Ma il linguaggio che si disarticola, che insieme con la musica comincia a fare prove sempre più avanzate di disgregazione, è solo questo linguaggio dei poeti. Che come la musica si sposta verso ambiti di incomprensibilità che richiedono la giacca e la cravatta, o le divise ugualmente selettive dell’intellettuale alternativo.
Forse bisogna riprendere Walter Ong e Marshall McLuhan, e provare a leggere la poesia ad alta voce. Forse riuscirebbe tutto meglio. Anche se non credo che ai tempi dell’oralità non si badasse al significato. (bamborino)
Il sogno di questa democrazia materialista è bigotto e intollerante, ha scarsa clemenza per i deboli e i riottosi. (John King, La prigione)
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