Lydia Davis, Pezzo a pezzo. (minimum fax)
Gli occhi sono aperti, gli occhi sono chiusi. Se sono aperti ci vedo, se sono chiusi non ci vedo.
E poi c'è la porta, la porta è chiusa, sotto la porta si vede la fessura di luce nel corridoio, spera che qualcuno apra la porta e la luce inonderà la sua stanza buia.
Più o meno tutto così.
Non sono racconti, ma riflessioni e stati d'animo e riflessioni sugli stati d'animo, il tutto ricoperto di una glassa dolciastra che malgrado il travestimento minimalista modernista richiama con forza quella volgarità sentimentale che Marshall McLuhan in La sposa meccanica attribuisce a Francis Scott Fitzgerald, per non dire che fa venire in mente Hermann Hesse.
Veramente straziante il racconto eponimo, Pezzo a pezzo, in cui nel tentativo affannato di raggiungere un distacco forse salingeriano il protagonista fa i calcoli di quanto gli sono costati dieci giorni con una donna, ma non può evitare di domandarsi se lei lo ama o no, e rimane sconvolto dal problema esistenziale di non sapere se lei dicendogli che lo ama è sincera.
Il risultato finale, non per lui che comunque si porta a casa una vecchia camicia la cui stoffa morbida è impregnata dell'odore di lei, ma per chi legge, è una miscela di noia e di fastidio. (moll)
A pag. 15 manca uno spazio.
Wine is a grand thing, it makes you forget all the bad. (Ernest Hemingway, A Farewell to Arms)
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