venerdì 19 luglio 2013

Adriano Sofri


Adriano Sofri, La notte che Pinelli. (Sellerio)

Il primo capitolo si intitola Anni di fumo.
Mi ricordo, come si fumava a quei tempi. Si fumava dappertutto, si fumava sempre.
Sigarette senza filtro.
Nell’estate del 1968 avevo passato un mese in un campo di lavoro del Servizio Civile Internazionale e lì avevo incontrato la prima donna per cui ho veramente perso la testa, un innamoramento di quelli che fanno passare dall’adolescenza a un’età in cui si è ugualmente coglioni ma diventa tutto più pesante.
Lei aveva i capelli rossi cortissimi, se li tagliava da sola, e fumava Nazionali semplici, cioè sigarette corte senza filtro,  sul pacchetto c'era scritto Nazionali e basta ma allora si diceva così in tabaccheria, mi dia un pacchetto di Nazionali semplici, ne fumava due pacchetti al giorno, sapeva di fumo in bocca nei capelli e nei vestiti. Fumavo Nazionali semplici anch’io.
Le Nazionali semplici, e le Alfa, erano sigarette di sinistra. Anche le Gauloises erano di sinistra, ma per quelli che avevano più soldi.
Mi ricordo anche, qualche anno dopo, l’ufficio di un dirigente del posto del mio primo lavoro, il dirigente fumava Gauloises quasi ininterrottamente e il suo ufficio aveva quel profumo dolcissimo e pesantissimo inconfondibile delle Gauloises. Un odore che adesso non capita più di sentire.
Così qualche anno prima del 1968, con i miei compagni di classe se qualcuno aveva da comperar dischi si andava alle Messaggerie Musicali ad ascoltare i dischi nuovi, Bob Dylan, Beatles e Rolling Stones, ho comperato lì il primo 45 giri della mia vita, Over and Over dei Dave Clark Five, il commesso metteva su il disco e per ascoltarlo ci si chiudeva in una cabina minuscola, anche in due o in tre, e si fumava mentre si ascoltava il disco, per un disco che si comprava ce ne facevamo metter su un sacco. Pomeriggi di musica e di fumo.
E poi mi è capitato di vedere per un attimo una cosa che passava alla tele sulla strage di piazza Fontana, e c’è uno dei soccorritori che gira in mezzo ai morti e ai feriti con la sigaretta in bocca.
Il libro di Sofri l’ho preso quando è uscito, l’ho messo sul tavolo e lo vedevo lì tutte le sere, ho provato a cominciarlo un tot di volte ma non riuscivo ad andare avanti. Aprivo, leggevo e stavo troppo male. Poi ce l’ho fatta.
In quel dicembre avevo diciannove anni e quando non pioveva andavo a scuola in moto. Una 250 del 1954.
La bomba, poi Pinelli e Valpreda. Io ero un filocinese di stretta osservanza. Marxista-leninista-stalinista-maoista e viva anche il compagno Enver Hoxha guida del Partito del Lavoro d’Albania faro del socialismo in Europa. A noi gli anarchici non piacevano nemmeno un po’, e non ci piacevano tutti gli altri, Lotta Continua compresa, che chiamavamo spontaneisti. Nemici del popolo, controrivoluzionari. Così per un po’ ci abbiamo creduto, a quello che dicevano i giornali. Io avevo paura che per via di questi qui potesse arrivare un colpo di stato da un momento all’altro.
Ho smesso di occuparmi di politica, per sempre, qualche mese dopo. Semplicemente perché mi ero stufato. C’era qualcosa che non girava, e non girava da tutte le parti.
Adriano Sofri scrive molto bene. Così bene da rendere bellissima una narrazione che non è una narrazione ma il ritorno continuo sullo stesso fatto, sugli stessi momenti, con un apparato di note enorme, e anche le note girano sempre lì, tra l’ufficio della questura e il cortile di sotto.
Per stare nella letteratura, viene in mente Samuel Beckett. La stanza di Malone. Si va avanti e indietro negli stessi posti, e alla fine come con Beckett non si arriva da nessuna parte. Come con Beckett e come sempre.
Adriano Sofri scrive molto bene ma non so per chi potrebbe essere, il suo libro. Per quelli che c’erano e si ricordano, sì, e forse quelli che non c’erano leggendolo possono imparare qualcosa, ma forse adesso che non si fuma più in nessun posto, forse di quegli anni a non esserci stati non si può capire niente. Forse non possono capire niente nemmeno quelli che in quegli anni c’erano, ma non arrivavano nemmeno ad ascoltare i dischi nuovi che venivano fuori in continuazione. Ce n’è, di gente che si è fatta gli anni Sessanta e non si è nemmeno accorta di quello che succedeva. A cominciare dalla musica.
Sofri invita a riflettere sul contesto, e sui rapporti tra il contesto e il senno di poi. In realtà, come dice Sofri, viviamo tutti sempre di senno di poi.
Questa è una cosa importante per tutti, il presente è un attimo che non esiste nemmeno, anche solo il pensiero, del presente, in realtà non è pensare al presente ma pensare a un attimo fa. La coscienza è la memoria, e se essere coscienti vuol dire comunque essere coscienti di qualcosa, la coscienza è sempre coscienza di un Altro, quell’Altro che eravamo un attimo fa. Lo stato mentale di poco prima, nello stato mentale di adesso pensiamo a noi stessi, e stiamo già pensando non alla persona che siamo, ma a quello che eravamo un momento fa.
In questa distanza dell’essere, tra l’Io che pensa e l’Altro che viene pensato, l’angoscia scava la sua buca. Scegliere di non essere, e vivere in un’ideologia, è anche un modo per salvarsi. 
Allora può diventare una cosa utile leggere questo libro, e cercare di ricordarsi che persone si era allora, nel 1969. Tenendo presente che anche i ricordi, in realtà, non sono ricordi ma sono i pensieri della persona che siamo adesso, e che tutte le volte sono un po’ diversi.
Come io ho un ricordo, di quei giorni, che mi sembra che sia rimasto sempre lì identico, ma forse me lo sono inventato negli anni, perché nel suo libro Sofri dice che il giornalista che si trovava nel cortile della questura disse di aver sentito tre tonfi, mentre Pinelli cadeva dalla finestra, e poi Sofri di questo fatto dei tre tonfi non parla più. Ma io mi ricordo una pagina del Corriere d’Informazione, che era il giornale del pomeriggio del Corriere della Sera, e nei giornali del pomeriggio c’erano tutti i film con due righe per la trama ma il migliore per questo era La Notte, mi ricordo la pagina con un disegno grande del volo di Pinelli, che secondo alcuni era già morto quando cadeva dalla finestra, e il disegno mostrava i punti, io mi ricordo due punti, in cui il corpo cadendo aveva urtato la parete della Questura, quindi anche questi sarebbero tre tonfi, due tonfi più il terzo contro il pavimento del cortile, e l’articolo del giornale diceva che se fosse stato ancora vivo non sarebbe andato a sbattere contro il muro come un sacco. O forse l’articolo era di parecchio tempo dopo, e si limitava a presentare una delle tante ipotesi.
Ma i nostri ricordi cambiano anche se non ce ne accorgiamo.
Come la mia ragazza con i capelli rossi che fumava le Nazionali semplici. I ricordi cambiano e il senno di poi ci lavora sopra. Che col senno di poi, non lo so come sarebbero andate le cose, se io e la ragazza dai capelli rossi fossimo rimasti insieme per tutta la vita.
E non fumo più le Nazionali. Da tanti anni. (bamborino)

A pag. 31, e oltre, c’è bè, che non so, ho sempre trovato scritto beh o be’, che mi sembra  la forma migliore, un bene con un’elisione. A pag. 164 c’è disegnarlo, secondo me al posto di designarlo, a pag. 279 citico invece di critico e a metà di pag. 249 c’è una frase che non si capisce. Ma a parte questo c’è un bellissimo esauriente invece dello stramaledetto esaustivo a pag.92 e un famigliari a pag. 230, e soprattutto a pag. 134 Sofri bacchetta un pronome sbagliato, le invece di gli, in un verbale.




Per ogni cosa c’è il suo momento, c’è il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace. (Qoèlet)

1 commento:

  1. Invito - It
    Io sono brasiliano.
    Dedicato alla lettura di qui, e visitare il suo blog.
    ho anche uno, soltanto molto più semplice.
    'm vi invita a farmi visita, e, se possibile seguire insieme per loro e con loro. Mi è sempre piaciuto scrivere, esporre e condividere le mie idee con le persone, a prescindere dalla classe sociale, credo religioso, l'orientamento sessuale, o, di Razza.
    Per me, ciò che il nostro interesse è lo scambio di idee, e, pensieri.
    'm lì nel mio Grullo spazio, in attesa per voi.
    E sto già seguendo il tuo blog.
    Forza, pace, amicizia e felicità
    Per te, un abbraccio dal Brasile.
    www.josemariacosta.com

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