domenica 16 novembre 2014

Giorgio Falco


Giorgio Falco, La gemella H. (Einaudi)

Ludwig Wittgenstein in 1.1 del Tractatus logico-philosophicus afferma che il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose. Giorgio Falco, a pag. 274 di La gemella H, scrive che più che i fatti e i giorni, sembra che solo gli oggetti accadano. In un mondo che comunque, come dice a pag. 14, forse con un richiamo a Humberto Maturana che in Autocoscienza e realtà dice che noi, in quanto esseri umani, esistiamo nel linguaggio, è un edificio fatto di parole. Poi a pag. 62 sembra di sentire qualche profumo di Oralità e scrittura di Walter Ong, e a pag. 68 compare Platone con il Fedro e a pag. 73 mi è venuto in mente John Searle e quello che ha scritto sull’astrattezza del denaro. Nel contesto di una critica radicale del consumismo, che si accompagna a una riflessione sulla sua natura profonda che richiama Zygmunt Bauman e che fa ritorno alla critica del capitalismo agonizzante che Giorgio Falco aveva già svolto con la poesia violenta di L'ubicazione del bene.
Ma non necessariamente leggeremo questo La gemella H per bramosie di approfondimento filosofico, o per la gioia di trovare qualcun altro che vede il mondo come noi. Che già è un bel motivo per leggere.
Ce lo leggiamo perché è bellissimo.
Inframmezzato continuamente da gioielli sospesi di prosa lirica che stanno sospesi in meravigliose indecisioni tra la forma e il contenuto, come quello bellissimo sui numeri, La gemella H è una storia del Novecento raccontata attraverso le vicende private dei personaggi, che Falco tiene sempre profondamente immerse nel sociale che li circonda e delimita e costruisce la loro vita. Come in Stoner di John Williams, ma se in Stoner il XX secolo è lo sfondo della storia di un uomo che in qualche modo se ne tiene distante, nel romanzo di Falco le due guerre e i cambiamenti economici e sociali sono parte delle ragioni profonde della vita di tutti. Al punto che due personaggi, l’Uomo di Lenhart e la signorina Horak, prima capostazione donna di Merano, sono icone del periodo storico che potrebbero essere tranquillamente espunte dalla vicenda. Ma come segnala René Girard in Dostoevskij dal doppio all'unità per la storia del ragazzino malato in I fratelli  Karamazov, accade spesso che la parte di romanzo che non c’entra con la storia vera e propria sia quella che nasconde in sé il senso del tutto.
Un Novecento interiorizzato e frammentato, che si ferma nei paesaggi e si appoggia agli oggetti. Automobili e autostrade di una Germania provinciale e nazista, le scarpe di un soldato morto, la spiaggia della Romagna, il petrolchimico di Ravenna, la rinascente di Milano, il capolavoro delle scene all’ippodromo di Merano. 
Viaggi attraverso transizioni da una classe sociale a un’altra, attraverso tutte le meraviglie del secolo, dalla nascita e sviluppo del consumismo alle vacanze per tutti alla grottesca macabra ascesa della chirurgia estetica.
Così la meraviglia di questo romanzo è forse la stessa di L’ubicazione del bene, che i personaggi sono tutti pieni di storia, intrisi di questioni sociali, che in realtà però sono questioni personali e private, o viceversa, le faccende private sono parte del sociale e dell’economico, inseparabili le une dalle altre. Una condizione di inseparabilità che ci potrebbe portare a farci qualche domanda sul libero arbitrio, sui percorsi obbligati che il mondo ci mette davanti, spesso proprio quando ci sembra di fare esattamente quello che vogliamo.
E anche qui compaiono gli animali, forse come segno dello straniamento moderno da sé stessi, ma in La gemella H c’è un unico animale, naturalmente un cane, cioè diversi cani con lo stesso nome, che seguono la famiglia Hinner per tutta la sua storia. Con la graduale generalizzata perdita di senso della vita di chiunque che trova forse la massima illustrazione nella storia d’amore di Hilde, dichiaratamente non collocabile in uno spazio e in un tempo che non siano quelli della necessità di allontanamento dal pensiero, se non dal fatto incombente, della morte.
Anche se la morte, prevedibilmente, arriva comunque. (bamborino)




Ricordatevelo, gente distaccata o biliosa. Non tutti gli uomini sono egoisti o duri. (Theodore Dreiser, Moriremo per questi sogni?)

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