martedì 18 novembre 2014

José María Arguedas


José María Arguedas, I fiumi profondi. (Einaudi)

Non una lettura travolgente.
Ma i colori di cui scintilla dall'inizio alla fine, colori di rocce, colori della notte e dell'alba, di uccelli, di piante, di fiori, che appaiono nel gelof delle Ande e nel caldo delle città e delle valli e dei fiumi, i colori sorprendono sempre e segnano di splendore avvenimenti e luoghi di tutto il romanzo.
E I fiumi profondi non è un romanzo. Piuttosto è una serie di sequenze che pur nella narrazione continua e conseguente si staccano le une dalle altre, per un procedimento oscuro che sembra essere la sostanza misteriosa dello stile di Arguedas. Racconto autobiografico di un'infanzia che diventa adolescenza e si prepara alla maturità. O nella maturità dolorosamente si dispiega, con il finale della miseria quasi epica di un'epidemia di tifo.
Forse, come dice la prefazione, Arguedas voleva essere la voce del suo popolo, degli indios oppressi nelle campagne.
Qui, la sua prosa poetica, nella sua indiscutibile bellezza non lascia mai il sentiero strettissimo dell'individualismo. (bamborino)

A pag. 18 c'è un bizzarro sta', a pag. 22 un - fuori posto.




Chi può dire quello che cercano gli uomini? Essi cercano di solito quello che trovano: sanno quel che piace loro soltanto quando lo vedono. (Henry James, Ritratto di signora)

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