Ilan Pappe, Storia della Palestina moderna. (Einaudi)
Di cosa parla il libro si capisce dal titolo, e da ciò consegue necessariamente l’impensabilità di un riassunto. Dico solo che si parte dalla condizione della Palestina a metà dell’Ottocento, compresa storia del movimento sionista e compresa storia delle responsabilità dei maggiorenti palestinesi nell’aver permesso nel corso del tempo tutto quello che è accaduto da allora, tra cui la costruzione di Tel Aviv a partire dagli anni Trenta, e storia del popolo palestinese che non si è mai considerato una nazionalità e non ha mai avuto l’idea che gli interessi di un villaggio potessero avere qualcosa a che fare con gli interessi del villaggio vicino, e si sono trovati ad avere a che fare con un popolo che l’idea di essere una nazione ce l’ha da tremila anni, mentre loro di essere tutti uguali e tutti insieme se ne sono accorti solo nei campi-profughi.
Il racconto di Ilan Pappe parte dall’impero Ottomano e da lì procede verso i tempi moderni.
Di cosa parla il libro si capisce dal titolo, e da ciò consegue necessariamente l’impensabilità di un riassunto. Dico solo che si parte dalla condizione della Palestina a metà dell’Ottocento, compresa storia del movimento sionista e compresa storia delle responsabilità dei maggiorenti palestinesi nell’aver permesso nel corso del tempo tutto quello che è accaduto da allora, e da lì si procede verso i tempi moderni.
Pur non avendo Ilan Pappe alcuna pretesa di capacità narrative e pur essendo l’esposizione diretta più decisamente verso la descrizione dei successivi scenari economico-sociali che verso il racconto della serie di eventi drammatici attraverso i quali si è sviluppata fin qui la storia di questo pezzo di mondo, le 322 pagine di testo vero e proprio passano via più che bene.
Con qualche sporadica sensazione di scarsa chiarezza, in un contesto in cui tuttavia è evidente che la mancanza di chiarezza è una caratteristica frequente dell’argomento più che un difetto della trattazione.
In sostanza, per guardare i telegiornali e per leggere i giornali con qualche preparazione a capire meglio quello che viene detto e soprattutto quello che non viene detto, direi che questo libro è abbastanza indispensabile e che si pone come strumento prezioso per ciò che ho già indicato (vedi post su Dietrich Buxtehude) come cammino gioioso dello sbifolcamento faidatè.
Cioè è indispensabile per capire quello che sta succedendo, ovvero per capire che probabilmente per mettere a posto un minimo di cose in Palestina l’unico tipo di persona utilizzabile sarebbe un prestinaio.
Nel senso che il prestinaio, che è come si chiama il panettiere a Milano, lavora di notte in condizioni di relativo isolamento per poi dormire buona parte della giornata, e questo fa sì che sarebbe forse persona adatta, in quanto estraneo alla mischia di quei luoghi e distante dall’imbonimento massmediatico, a riorganizzare su nuove basi un casino assolutamente indescrivibile e che è arrivato a un punto di quasi impossibilità di soluzione. Oltre al fatto che il prestinaio, trattando con manuale impegno fisico elementi essenziali per uno sviluppo esistenziale sereno, potrebbe essere considerato uomo dotato di quantità apprezzabili di saggezza, o anche semplicemente lontano da balle politiche o ideologiche religiose e non.
Ilan Pappe ha insegnato per anni Storia all’università di Haifa e poi si è trasferito all’università di Exeter in Gran Bretagna, con ogni probabilità perché la sua visione e interpretazione dei fatti non andava molto d’accordo con quella del governo di Israele. E personalmente mi permetterei di dire che ha fatto bene ad allontanatrsi dalla zona, perché con ogni probabilità non deve essere simpaticissimo nemmeno alle dirigenze del movimenti palestinesi.
Posizione bilateralmente critica che dall’inizio alla fine è il bello del suo libro. (blifil)
Abbiamo un dannosi invece di dannose a pag. 139, la parola Putsch inspiegabilmente e ripetutamente maiuscola, a pag. 198 un 1956 invece di 1965, tagliato invece di tagliata a pag. 205, indipendente invece di indipendentemente a pag. 230, un da mancante a pag. 242, la solita pena dell’esaustivo invece di esauriente a pag. 299 (particolarmente deludente dopo il bellissimo adattativo invece di un rivoltante adattivo a pag. 14), un islam minuscolo a pag. 303, un ibn Laden a pag. 320, e un’indecisione diffusa sul genere di Israele, maschile o femminile, oltre ad esserci più di una cartina con i colori in legenda che non corrispondono a quelli dell’immagine.
Abbiamo bisogno degli altri, non possiamo passare la vita a detestare noi stessi. (Romain Gary, L'angoscia del re Salomone)
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