mercoledì 23 novembre 2011

Gianni-Emilio Simonetti

Gianni-Emilio Simonetti, La vivandiera di Montélimar. Il secolo delle rivolte logiche e la nascita della cucina moderna nelle memorie di una pétroleuse. (DeriveApprodi)
Scovato per caso in libreria. Attratta dal termine pétroleuse, da una foto di uno strano quadro del Seicento e da una quarta di copertina che non capivo.
Mi piace cucinare e raccogliere i più svariati libri sull’argomento, soprattutto quelli che raccontano le ricette come storie e non come anonimo e gelido almanacco d’ingredienti e procedure. Ho divorato (sic) il testo in una domenica pomeriggio melanconica in cui avevo bisogno di conforto per alleviare stanchezze e tristezze varie. E mi sono ritrovata felice a vivere una racconto fatto di passato, presente e passione.
Certo ci sono anche le ricette nell’ordine canonico, ma sparse tra i diversi piani della storia. Ricette di fine ottocento che insegnano molto sulla cucina francese attuale ma sono improponibili anche solo per sperimentare. Nella nostra stomachevole realtà non mangiamo più perché fa male, spendiamo fortune in insulsi ristoranti dove ci propinano di tutto, ma non si sa più cucinare un uovo al tegamino, ed è un peccato mortale cucinare nelle cucine supertecnologiche che devono solo essere mostrate.
La protagonista è Ginevra, gran donna, passionale e romantica come certe donne di Renoir o di Rodin, con alle spalle una vita audace e intensa sempre vissuta in primo piano senza cedimenti o compromessi con la banalità. È sola, le piacciono gli uomini, ma certo non ne sposerà mai nessuno. Indipendente e pratica ha partecipato in prima fila alla Comune di Parigi il cui ricordo vivo e pieno di particolari la fa sentire ormai vecchia e appassita. Non parigina vive in una Parigi che ama e detesta allo stesso tempo, dove insegna a cucinare alle signorine di buona famiglia e prepara, antesignana dell’attuale catering, manicaretti per quelle feste di fine ottocento che abbiamo letto in Proust e Zola. Eclettica come certe donne di una volta, restaura un quadro italiano del Seicento per non rimpiangere la passione che l’aveva riempita in passato e per rassegnarsi ad un presente smunto e a un futuro inesistente.
Libro asciutto ma coinvolgente con dagherrotipi e foto d’epoca che insieme con le ricette costruiscono quell’involucro di realtà in cui le storie di Ginevra assomigliano ai racconti della nonna sul tempo che fu. Una fuga dalla realtà, almeno nella mente, che aiuta a tirare avanti e per cinque minuti permette di dimenticare le tristezze. Sconsigliato a tutti quelli che amano gli chef, che sono innamorati della cucina di Ferran Adrià, e alle donne senza passioni. (alia)
Voi guardate il vestito di quell’ometto laggiù, impiegato al Comune, o anche vedovo, e la prima cosa che vi vien da pensare è che un giorno è stato nuovo anche lui. E anche l’ometto, s’intende. (Silvio D’Arzo, Casa d’altri)

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