martedì 22 novembre 2011

Walt Whitman, Enzo Jannacci

Walt Whitman, Foglie d’erba. (Rizzoli)
Enzo Jannacci, Silvano.
Probabilmente in Italia Walt Whitman è noto soprattutto grazie a un film per bambini del 1989, in cui alcuni deficienti, accomunati dal malvezzo di mettersi in piedi sui tavoli, si riunivano in una grotta per leggere ad alta voce le sue opere.
Che grondano di una disarmante grandiosità.
Per esempio, due esempi tra decine, il Canto di me stesso comincia con una dichiarazione d’intenti in cui egli ci dice che non solo canta ma addirittura celebra sé stesso, e in Partendo da Paumanok ai versi 127-130 l’aedo ci fa sapere che egli canta i canti che seguono, unicamente per far cadere sulla terra i germi d’una più grande religione. 
Non che si pretenda che qualcuno abbia il coraggio di dire che questa roba, dopo il compimento del dodicesimo anno, dovrebbe far ridere.
Tuttavia sorprende, nella critica letteraria che si è occupata di tessere le lodi della sua poetica (sic) di entusiastico strombazzamento di sé stesso e del capitalismo (vedi Sul ferry di Brooklyn), che passi in secondo piano una caratteristica tutt’altro che trascurabile del personaggio, cioè che Walt Whitman era un omosessuale.
Al punto che nella prefazione a questa edizione BUR Giorgio Manganelli non ne fa menzione e Biancamaria Tedeschini Lalli, nell’introduzione, non solo ventila la possibilità di un figlio illegittimo, ma parla della sua abitudine di frequentare gli ospedali in cui si trovavano i giovani feriti della guerra di Secessione, e delle tenere e talora durature amicizie che stringeva con alcuni di questi, ben guardandosi dal dire altro sul carattere di queste amicizie e anche Harold Bloom in Il genio ne parla solo di striscio, e dà in smanie per i fiori di lillà mentre cade preda di esaltazioni paragonabili a quelle dello stesso Whitman, che avvicina a Lucrezio. 
Tuttavia Walt Whitman parla più che chiaramente della propria omosessualità, per esempio ancora nel Canto di me stesso in cui ai versi 58-60 parla dell’amato compagno di letto che dorme abbracciato al suo fianco e allo spuntare del giorno si ritira con passo furtivo, e al verso 261 dichiara apertamente di agghindarsi per darsi al primo che lo voglia.
Ora, dato che la vistosa omosessualità di Truman Capote non ci impedisce di pensare che egli sia stato uno dei Grandi del Novecento, mi domando quale sia il problema nei confronti di Walt Whitman, e mi viene un mente la risposta che forse l’omosessualità getterebbe una luce, o un’ombra, di comico sull’intenso machismo delle sue roboanze e soprattutto sulle sue enfatiche ammirazioni per le muscolezze maschili, di cui è ricca per esempio la famosa I Sing the Body Electric, che purtroppo non c’è nell’edizione BUR ma la potete trovare facilmente in Rete, mostrando come questa ulteriore fanfara whitmaniana non sia dovuta tanto a un mistico rapimento per le meraviglie dell’umanità quanto a una comprensibilissima e secondo me non meno mistica estasi erotica.
E proprio per quel che riguarda le anatomie maschili il grandissimo Enzo Jannacci, che naturalmente non è considerato dalla critica togata un grande poeta come Whitman e nemmeno come Fabrizio De André (lo so che se scrivevo Faber faceva più figo), e che non solo non ha tessuto le lodi del capitalismo ma ha mostrato cospicue profondità di critica sociale (vedi Son’t sciopàa e Ci vuole orecchio) secondo me supera di parecchie lunghezze Walt Whitman nella sua (sua di Jannacci) Silvano, che metto un link così chi non la conosce la può ascoltare subito quiquando parla di ebbrezza dei tendini, di spostamento massiccio di efelidi, di sporcare girandosi. Per non dire dell’invito, più che un invito una straziante accorata supplica, applicami. (moll)



Gli specchi e la copula sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini. (Jorge Luis Borges, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius)

5 commenti:

  1. Poche battute. Jannacci mi piace e Whitman non sempre mi esalta. La reticenza della vecchia critica italiana sulla peraltro evidente omosessualità del poeta americano ci fa capire "che gente siamo" e quali sono le nostre tare ataviche. Però, con tutto l'affetto di "utente" fedelissimo di questo blog, mi permetto di dissentire da una così drastica sottovalutazione del talento poetico di Whitman. Ne capisco poco, di letteratura in genere e di poesia in particolare; ma posso invocare a colpo sicuro l'autorità di Gerard Manley Hopkins e di Giovanni Pascoli, i quali, pur criticando Whitman, rispettivamente, per il suo atteggiamento "scoundrel" e per l'inconfessata imitazione dei salmi, lo tennero ben presente. Per non parlare di Pablo Neruda, certo uno che "diceva cose di sinistra" eppure amava il poeta nazionale yankee! La poesia di Whitman è ingombrante, altisonante, politicamente odiosa, ma volerla liquidare con uno sberleffo mi sembra stranamente riduttivo. Non lo capisco.

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  2. E quello che ho detto di Neruda vale anche per Pavese, naturalmente. Insomma, non sono certo io a dovervi dimostrare che Whitman è un punto di riferimento fondamentale. Vorrei capire meglio, piuttosto, il perché di tanta insofferenza per Whitman ... e per Peter Weir. P.S.: mi avete convinto, comprerò e leggerò Walter Ong.

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  3. Io di poesia non capisco una mazza!

    A.

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  4. Il bello di avere un blog è anche di potersi sfogare a dire la propria, e di poter accogliere le opinioni di tutti. (Moll)

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  5. Neruda è stato uno dei miei primi amori, forse il primo. Mi ricordo che ero andato a sentirlo alla Bocconi, facevo le medie, e mi ero portato uno dei suoi libri, li compravo da Remainders, per fargli mettere un autografo, e lui ce l’ha messo, e aveva appena finito l’inchiostro verde della stilografica, e così il mio autografo è rosso, scritto con un pennarello, una rarità. Neruda è barocco, Whitman è solo tronfio, e come tutti i Grandi Neruda non è di destra né di sinistra. Che bello che ci sei ancora, HansSchnier. E vedrai che bello leggere Ong. (Bamborino)

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