giovedì 19 gennaio 2012

Knut Hamsun

Knut Hamsun, Fame. (Adelphi)
Una specie di flusso di coscienza urbano.
Quasi trent’anni prima che Leopold Bloom faccia i suoi giri per le strade di Dublino, Andreas Tangen (che dovrebbe essere un nome inventato, ma la somiglianza con tanghero me lo fa credere vero) si aggira per le strade della scandinava Christiania (Oslo), leggermente vestito anche d’inverno, sempre digiuno da diversi giorni e con difficoltà di alloggio, sempre incazzato con tutti, impegnatissimo a importunare passanti di entrambi i sessi, a far dispetti, a raccontare un sacco di balle, a distribuire insulti a destra e a manca. Impegnato anche a scrivere brevi saggi per i giornali della città, si complimenta con sé stesso quando gli capita di inventare una nuova parola per la quale non gli riesce di trovare un significato, si sente un grand’uomo se afferma tra sé e sé che le patate sono cavoli, determinato a tutto tranne che a trovarsi un lavoro normale.
La prima metà del romanzo è la catena dei cambiamenti di alloggio e degli incontri casuali di questo cretino presuntuoso, ma nella seconda metà il contesto abitativo del protagonista si stabilizza e si arricchisce di relazioni che hanno quasi qualcosa di umano, e gli capita addirittura quella che per uno meno cretino e meno presuntuoso di lui potrebbe anche essere una storia d’amore, e anche se l’Autore ci conduce attraverso due bellissime sequenze di reciproca impacciata seduzione tra il protagonista e una misteriosa fanciulla notturna, l’io narrante del cretino alla fine ha la meglio e della storia d’amore non se ne fa niente. Fino a quando finalmente il cretino decide di imbarcarsi, e con la sua partenza il romanzo finisce.
Una lettura davvero particolare di cui non è facile farsi un’idea veramente definitiva, e si rimane in un dubbio che si proietta qua e là nella narrativa, verso una comicità che ricorda Franz Kafka ma soprattutto verso Dostoevskij, perché se la storia con la fanciulla notturna nella sua inconcludenza ricorda Le notti bianche, Andreas Tangen sembra il fratello dell’uomo di Memorie del sottosuolo. Ugualmente cretino e forse anche più irritante, ugualmente presuntuoso e invidioso, ma decisamente meno ricco interiormente.
Come se in vista del Novecento, a metà strada tra Dostoevskij e James Joyce, Knut Hamsun vedesse che si poteva mettere insieme solo una condizione interiore di miseria e di stenti. La fame. (bamborino)
Le battaglie non si vincono mai. Non si combattono nemmeno. L’uomo scopre, sul campo, solo la sua follia e disperazione, e la vittoria è un’illusione dei filosofi e degli stolti. (William Faulkner, L’urlo e il furore)

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