martedì 15 maggio 2012

Anton Čechov


Anton Čechov, La paura. (Rizzoli)
Una volta il mio amico di Seriate (vedi il post su Panchine di Beppe Sebaste) mi aveva detto, io ho sempre paura che vada male qualcosa, ma lo so che non c’è niente da avere paura e non c’è niente che sta andando male, è solo un modo per trovare un motivo all’angoscia.
E La paura parla proprio di questo.
Tutto quello che si può dire, di quella qualità di angoscia che sale tutti i giorni e tutti i momenti dalle cose più piccole della vita di tutti i giorni e di tutti i momenti.
Tutto quello che si può dire di tutte le possibili declinazioni di quest’angoscia da una persona all’altra.
Tutto quello che si può dire di come si cerca di sfuggire all’angoscia per qualche momento, o un momento dopo l’altro per tutta la vita.
Tutto quello che si può dire sul momento terribile in cui questa angoscia comincia.
Tutto quello che si può dire, in realtà senza dire niente, perché questa angoscia è un buco senza nome, di cui non si può parlare. Perché è fuori dalla portata del linguaggio.
E si rimane a bocca aperta quando ci si rende conto che il momento dell’inizio, della prima esplosione, della prima vertigine sull’orlo del buco, lo ha raccontato anche Richard Yates in Revolutionary Road, nella scena del parcheggio. E che anche nel romanzo di Yates, come in questo racconto di Čechov, l’angoscia comincia dopo una scopata. (bamborino)
Ho indicato l’edizione Rizzoli perché il racconto compare sia nell’edizione di racconti scelti in volume unico, sia nel IX volume intitolato Il monaco nero della vecchia edizione completa, che è quella che ho io. Ma c’è anche in La corsia n.6 e altri racconti degli Oscar Classici Mondadori e probabilmente anche in altre edizioni.
Penso di credere che i soli veri mostri sono quei bugiardi che non si riesce a smascherare. Quelli che non si tradiscono mai. Che camminano in mezzo a noi. Insegnano ai nostri bambini. Sono imperscrutabili. Hanno la faccia di bronzo. (David Foster Wallace, Infinite Jest)

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