domenica 13 maggio 2012

Étienne de la Boétie


Étienne de la Boétie, Discorso sulla servitù volontaria. (Chiarelettere)
Il punto di questo piacevolissimo libretto, piacevolissimo per la carta e la bellissima copertina con un fregio che una volta tanto è in rilievo per una ragione sensata e che è un piacere sentire sotto le dita, il punto non è tanto il testo di la Boétie, che mi dicono si pronuncia Boesì, quanto un confronto tra il testo e il saggio (sic) di Paolo Flores d’Arcais che lo precede, la cui versione integrale è apparsa, ci informa una nota, sul periodico «MicroMega», e infatti come al solito il giornalismo colpisce ancora.
Dai tempi dell’Illuminismo se n’è fatta di strada, e anche la politica di strada ne ha fatta tanta, e se rimane vero che in politica sia a destra che a sinistra si vedono solo affaristi lecchini e guitti di quart’ordine, è vero anche che i tiranni in Europa non ci sono più, o non sono più come un tempo, e forse varrebbe la pena di utilizzare sì ancora una volta lo scritto di Étienne de la Boétie come uno scritto militante ma bisogna vedere, militante contro cosa.
Vediamo quindi quale potrebbe essere, per gli uomini e le donne dell’alba del XXI secolo, il senso di quello che dice la Boétie, che parla contro il potere nel XVI secolo, cercando di evitare i buonismi illuministici di cui ha già detto quel che c’era da dire Zygmunt Bauman, e soprattutto facendo lo sforzo di pensare con la nostra testa e di tenerci a distanza dai modi e dai contenuti del pensiero sociale e politico alla Giorgio Gaber secondo cui libertà è partecipazione e se fosse Dio sarebbe in ogni luogo a spiare, proprio come la televisione.
Étienne de la Boétie ci dice, a pag. 14 del bellissimo libretto, che ci si può liberare senza neanche provare a farlo, ma solo provando a volerlo. Poi a pag. 22 ci dice che senza dubbio l’abitudine, che in ogni campo esercita un enorme potere su di noi, non ha in nessun altro campo una forza così grande come nell’insegnarci la servitù. E a pag. 30 ci dice anche che i libri e l’istruzione danno agli uomini il sentimento di riconoscere sé stessi e di odiare la tirannide.
Ecco.
Proviamo a non pensare al cosiddetto tiranno di casa di cui si parlava tanto quando era uscito il libretto e che non era un affatto un tiranno ma semplicemente un uomo politico non dissimile da quelli che mi ricordo di aver visto nel nostro Parlamento per tutta la mia vita e che si stanno vedendo adesso dopo di lui, e domandiamoci quale sia la servitù alla quale siamo abituati, che muove il nostro agire, che ci infila nel cervello le nostre opinioni, che ci istruisce su come ci dobbiamo vestire e cosa dobbiamo mangiare e persino su come ci dobbiamo pulire il sedere e quale sia la tirannide che soprattutto come dice la Boétie governa attraverso l’abbrutimento e il divertimento dei sudditi, e che come dice lui basterebbe nei suoi confronti provare a voler essere liberi, che subito si sarebbe liberati.
Provare a volere, dice la Boétie.
Provare, senza affaticarsi più di tanto. Senza prendere le armi e senza andare in strada a far chiasso.
Provare ad astenersi da qualcosa, anche solo ogni tanto, come abbiamo già detto nel post su Bartleby lo scrivano (vedi) di Herman Melville.
E io credo che basterebbe provare tutti, o anche la metà o un terzo, a non accendere il televisore per un paio di settimane, e poi vediamo.
Senza tener conto del fatto che il cosiddetto nostro tiranno casalingo ha per l’appunto sempre tratto i suoi redditi proprio dalla televisione, e mi piacerebbe sapere, dato che ne conosco personalmente qualcuno, quanti erano i suoi nemici che oltre a non votare per lui davano un contributo a mantenerlo guardando la sua televisione, sia quella cosiddetta gratis che quella a pagamento. (blifil)
Un libro non è mai troppo piccolo per i refusi, e così qui malgrado l’eleganza editoriale a pag. 36 e altrove troviamo sesterzo (e se non sterzo?) invece di sesterzio, che però mi sa che potrebbe non essere un refuso ma un sbaglio d’ignoranza.
Ci sono, in certe epoche, dei nomi, delle istituzioni, dei poteri ai quali si addossano tutte le disgrazie, ai quali si negano tutte le qualità e che servono da motivo alle giustificazioni dei cretini. (Honoré de Balzac, Gli impiegati)

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