lunedì 28 maggio 2012

Humberto Maturana


Humberto Maturana, Autocoscienza e realtà. (Raffaello Cortina Editore)
Importantissimo non spaventarsi alle prime pagine di questo libro: all'inizio si può avere l'impressione di non capire niente, ma con un po' di pazienza ci si accorge che basta stare attenti, molto attenti, e si capisce tutto.
Lo stile è particolarmente duro ed essenziale, ma l'obiettivo di Humberto Maturana è essere assolutamente preciso e assolutamente chiaro su temi formidabili che molto spesso vengono trattati un tanto al chilo.
L'argomento dichiarato è la conoscenza, la posizione generale di partenza è quella della fenomenologia, e con Husserl Maturana dichiara la non conoscibilità della realtà nella sua essenza. Cioè tutto quello che accade è costruito dall’osservatore all’interno dei fatti pratici in cui vive, e questa costruzione avviene nel linguaggio, perché senza linguaggio e al di fuori del linguaggio non ci sono oggetti.
E quindi parlare di cosa possiamo conoscere e di come lo possiamo conoscere significa parlare di cosa siamo e di come possiamo conoscere ciò che siamo. Cioè la nostra esistenza, che Maturana chiama deriva strutturale ontogenetica, e la nostra esistenza nel rapporto con il mondo e con gli altri, sostanzialmente nel linguaggio.
Maturana parla di scienza che diventa poesia.
Forse anche il suo stile acuminato può essere considerato poesia. Una forma di prosa poetica. Chiamare la vita deriva strutturale ontogenetica è mettere in tre parole tutta la fragilità e l'incertezza di una costruzione che non finisce mai di ricostruirsi da capo.
Leggerlo una volta non basterà. Ma già dalla prima lettura si potranno vedere le cose intorno a noi, e dentro di noi, in un modo nuovo.
Ci avvicineremo poi gradualmente a capire come i discorsi che condividiamo con gli altri ci modificano in quanto organismi biologici che conoscono e pensano, vedremo come la nostra vita attraversa differenti domini di esistenza, modi di essere continuamente ridefiniti nei contesti dei nostri rapporti con gli altri.
Potremo comprendere come un romanzo, nel suo essere linguaggio, non sia meno reale del linguaggio che ci porta a costruire la nostra realtà interna e il mondo di fuori. 
Che è sicuramente una fatica, ma è una fatica di conoscenza del mondo e di noi stessi che può valer la pena di cominciare. E di non smettere. (bamborino, herzenstube)
C’è un soddisfi a pag.12 al quale corrisponde un soddisfatte a pag. 13, e allora se lo sappiamo come funziona questo verbo, si potrebbe anche stare attenti. Poi c’è un operarlo invece di operarla a pag. 47.
Benché non sia nello stile di questo blog pubblicare testi originali, questa volta, nell’incontro con una prova vivente di quello che si può trovare in questo libro, ci è sembrato opportuno fare un’eccezione.
Il sonetto che segue ci è pervenuto per una serie di circostanze fortunate, di quel tipo di fortuna ovviamente non casuale, ed è stato composto da un collettivo di cosiddetti malati di mente o meglio, per usare termini che siano più dignitosi delle miserie classificative e riduzioniste del DSM IV-R, un gruppo di matti. Scritto così, senza virgolette.
Matti. Una parola cara al linguaggio popolare e che ci ha accompagnato per secoli. Avremmo potuto scegliere altre parole, per esempio avremmo potuto dire, in un adeguamento a una sempre più diffusa comicità linguistica, un gruppo di persone diversamente sane di mente, ma chiamare in causa la follia ci è sembrato appunto più vicino a una diversità che, nel mondo dell’inizio del terzo millennio, può forse andar fiera di sé stessa. Il gruppo è dunque costituito da tre matti, nel contesto di una Comunità di Riabilitazione ad Alta Intensità e di un Centro Diurno, con un operatore che, se non condividesse con gli altri almeno una parte cospicua di follia, non si impegnerebbe certo in attività di questo genere. Il tutto, in un luogo non precisato della Lombardia.
La composizione ha occupato un tempo inferiore alla mezz’ora, e va detto che il gruppo, peraltro di volta in volta variabile nella sua composizione, era già più che abituato alla produzione letteraria collettiva. Ma ci sembra particolarmente rilevante che in un tempo così limitato, gli organismi che partecipavano al gruppo siano stati in grado di costituirsi in quella che Humberto Maturana chiama una deriva strutturale co-ontogenetica, nel corso della quale si sono realizzati interagendo ricorsivamente l’uno con l’altro, e in questa interazione il loro agire linguistico ha prodotto un dominio fenomenico comune, generando il sonetto che segue. Mentre nelle loro derive strutturali ontogenetiche individuali si disintegravano come folli e si ricostruivano come poeti.
SPERANZA
Le montagne si muovono
i fiumi s’intrecciano
impetuoso mare
la gente sta a guardare.
Il cielo e le stelle
si rispecchiano nell’acqua
negli abissi infiniti
e si vive di attriti.
La gente si commuove
le lacrime scendono
ma niente si smuove.
Si vive di speranza
di uscire alla luce
da questa buia stanza.

(25 gennaio 2010)
Ogni persona che si affida principalmente alla propria esperienza è impoverita. Questo è un motivo per cui leggiamo le opere di letteratura, in modo da vivere esperienze che non abbiamo mai vissuto direttamente. Questo è ciò che significa essere un uomo, essere in grado di entrare con l’immaginazione e l’empatia nelle innumerevoli esperienze degli altri. (Walter J. Ong, Conversazione sul linguaggio)

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