mercoledì 30 maggio 2012

Thomas Carlyle


Thomas Carlyle, Sartor Resartus. (Liberilibri)
Concludendo la sua Nota preliminare, Jorge Luis Borges dice che non esiste un libro più intrepido e vulcanico, più tormentato dalla desolazione, di Sartor Resartus.
E dice questa enormità di un libro la cui caratteristica essenziale è di non esistere, cioè Sartor Resartus è un libro scritto da un editore per presentare al pubblico un libro che gli è pervenuto. Ovvero Sartor Resartus è un libro su Sartor Resartus e sulla vita del suo autore, che l’editore tenta di ricostruire sulla base di documenti inviatigli da un amico di questi.
Già questa metatestualità totale è un’enormità, e tutto il libro è un’enormità.
Ma Thomas Carlyle sarà il precursore delle enormità che ci porterà il Novecento, con un capolavoro dello stesso Borges, Finzioni, e con il grandioso Fuoco pallido di Vladimir Nabokov.
Un libro sull’Uomo e sul senso della sua esistenza (Carlyle mette un sacco di maiuscole e ne metto qualcuna anch’io) che parla del nostro procedere nella Storia e nel Tempo e ci fa vedere come quasi tutte le nefandezze economicosociali in cui ci troviamo a sguazzare quotidianamente fossero presenti già due secoli fa, e come siano connaturate allo sviluppo industriale del capitalismo (e Carlyle non era un marxista), della falsa democrazia, dei mezzi d’informazione che allora erano solo i giornali ma facevano già i danni che possiamo vedere al giorno d’oggi.
Tenendo presente che Thomas Carlyle è il genio che in questo libro ha dato quella famosissima e forse perfetta definizione dell’Uomo, come animale che si serve di utensili.
A tratti fa venire in mente quel che dice Zygmunt Bauman e quel che dice Marc Augé. Mentre ci avverte che un Mondo come questo secondo lui può andare avanti ancora al massimo duecento anni: siamo vicini a questo limite, e le cose si mettono sempre peggio. O sempre meglio, se quello che sta per finire è il substrato economico e sociale che ha generato le guerre del XX secolo.
E forse la desolazione di cui parla Borges è questa, che un libro che parla di Dio e dei Valori dello Spirito e li contrappone all’Apparenza e al Denaro debba per forza essere un libro che non è, cioè un libro che non può essere.
Così mentre qui vicino sul tavolo c’è il libro nella sua tangibile materialità, mi rendo conto delle mille strade del linguaggio in cui esistiamo con la carne e con il pensiero (vedi Humberto Maturana) e cos’è il libro, è un oggetto che esiste e un testo che esiste, ma il testo esiste dove, questo non è così chiaro, se il testo esiste sulle pagine o esiste nella mia mente, se cioè può esistere in quanto testo anche mentre nessuno lo legge, insomma il solito casino.
Mi viene in mente Parmenide, l’essere è, e non può non essere e il non-essere non è, e non può essere, ma da un po’ di tempo le cose stanno cambiando, la televisione e l’informatica stanno sfumando le differenze tra l’essere e il non-essere, e così l’intrepida vulcanicità del Sartor Resartus e la sua tormentata desolazione potrebbero essere forse proprio in questo, che il suo stesso atto di esistenza è l’urlo contro la perdita della distinzione tra l’essere e il non-essere.
Oppure, tornando con il pensiero ai cambiamenti attualmente in corso e tirando in ballo ancora una volta Marshall McLuhan, Sartor Resartus potrebbe essere considerato l’urlo contro la perdita del senso dell’Uomo generata dall’epoca della produzione di massa, figlia della Tipografia. Un’epoca che ha stabilito il senso dell’Essere in una materialità oggettuale che adesso si perde nelle fluidità delle esistenze possibili nel World Wide Web.
E forse un libro che parla da quasi duecento anni del Mondo contemporaneo non poteva esprimersi se non con una comunicazione a doppio legame (vedi Paul Watzlawick): Sartor Resartus e il suo autore esistono e non esistono nello stesso tempo, e per svelare il trucco dell’ambiguità pervasiva e dilagante che ogni giorno ci afferma e ci rimette in dubbio, per rendere manifesto il trucco bisogna dare all’ambiguità un’esistenza indiscutibile ed evidente e con questo trasformarla in una certezza, e renderla inoffensiva. (bamborino)
A pag. 53 abbiamo un soddisfi, a pag. 93 per qualche oscuro motivo si è deciso di non tradurre performance con il nostro rappresentazione e poco dopo c’è un Action che probabilmente era un Aktion, a pag. 98 c’è lunghe invece di lunghi, a pag. 137 c’è un causalità che credo sia al posto di casualità, a pag. 292 manca ne, a pag. 315 compare l’osceno quant’altro che è diventato il marchio di qualità degli sfigati e non ce lo si aspetta proprio da un editore che ha l’eleganza di scrivere vènti per non far confusione con il numero, a pag. 318 c’è nato invece di nata, a pag. 346 c’è un alcool che quella doppia o non la dice nessuno e quindi è inutile scriverla oltre a non esserci più nemmeno nei dizionari, a pag. 352 manca un che.
E comunque è bello trovare l’indice all’inizio.
Una madre amorosa, quantunque nella caccia di lodi per i suoi piccini sia il più rapace degli esseri umani, è parimenti il più credulo; le sue esigenze sono esorbitanti, ma inghiottirà qualunque cosa. (Jane Austen, Ragione e sentimento)

1 commento:

  1. Nei cataloghi commerciali l'indice si mette all'inizio. Lo scrivo perché ne sto impaginando giusto uno, argomento mole abrasive.

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