mercoledì 20 giugno 2012

Todd Asak-Lowy


Todd Asak-Lowy, Non parliamo la stessa lingua. (minimum fax)
Ogni tanto capita un libro da perdere la testa, e qui c’è un racconto, La Nazione dei Predatori, che a leggerlo sono stato male (tipico anacoluto lombardo).
Perché c’è il protagonista che gli piace una ragazza (che prima dice che è in jeans e dopo due pagine dice che ha la gonna) che sta con un suo amico e lui (lui il protagonista) vorrebbe provarci, ma lei è un tipo di quelli scafati, e lui è uno che con le donne proprio non ci sa fare, e l’amico è nella stanza accanto che sta guardando una partita alla tele, e la tensione cresce orribilmente, lui si aggroviglia in una menata pazzesca su un toast che le sta preparando, uno schifo di disagio da cretino e non lo so, forse una cosa di questo genere per capirla bisognerebbe averla provata, ma forse un grande scrittore questa tensione riesce a trasmetterla fino in fondo anche a chi in una situazione così non ci si è mai trovato, io a volerci provare e non sapere come fare ci ho passato la mia adolescenza da sfigato e questo racconto mi ha ribaltato lo stomaco.
Oltretutto era un sabato mattina, primo giorno di primavera e il racconto l’avevo cominciato la sera prima e ne ho letto un po’ anche dopo il caffè e poi e m’ero detto, per festeggiare mi metto le Clarks, che poi chissà cosa c’è da festeggiare, la primavera arriva tutti gli anni e arriva sempre più o meno nello stesso giorno, mi sono messo un paio di Clarks tarocche, Astor Flex, beige, vecchie Astor Flex di quando le vendevano al mercato e non avevano pretese ecologiche-alternative, che sono più pesanti delle Clarks vere, dato che la giornata era bella ma faceva freschino, ma quando sono uscito avevo lo stesso un gran freddo ai piedi e sono andato dal meccanico con il libro in tasca, casomai ci fosse stato da aspettare, e per fortuna c’era da aspettare e sono andato avanti a leggere, poi il problema della macchina che tirava a destra non lo si è potuto risolvere ma intanto il protagonista sfigato s’era messo in questa situazione e allora via a casa senza neanche fare la spesa per vedere come andava a finire.
Aggiungendo che sono passato al distributore a comperare venti euro di benzina, self service con pagamento alla cassa, e avevo in mente il racconto e così ho fatto la scemenza di andare a pagare prima di mettere la benzina, ma sono abituato che ci vado dopo aver pagato, e così me ne sono ripartito senza mettere la benzina e m’è toccato di tornare indietro.
C’è il primo racconto, che apre la festa in grande stile, ambientato nel museo dedicato agli ebrei vittime delle persecuzioni naziste, cioè più esattamente nel bar del museo dedicato agli ebrei vittime delle persecuzioni naziste, e infatti il racconto si intitola Sul luogo dove sorge il museo dedicato agli ebrei vittime delle persecuzioni naziste, e a parlarne così sembra che sia un racconto da ridere, ma da ridere non c’è proprio niente, cioè da ridere ce n’è, un po’ qua e un po’ là per tutto il libro, ma è un ridere per modo di dire perché alla fin fine sono sette storie di sfigati tremendi.
Hasak-Lowy fa venire in mente Wallace e fa venire in mente Carver.
Di Wallace ha qualcosa dello stile e il sarcasmo e la critica sociale senza pietà ma con tutta la pietà possibile per i personaggi, e la capacità, come nelle accelerazioni narrative dell’ultimo bellissimo racconto, di dare vita a un inestricabile sodalizio tra contenuto e stile.
Di Carver c’è quel fondo di malinconia e di tenerezza che c’è solo in Carver.
Con tutti e due, Carver e Wallace, Hasak-Lowy  ha in comune la coscienza della solitudine e il dono di saper cogliere e di saper trasformare in dolorosi eroismi esistenziali tutte quelle piccole miserie che un giorno dopo l’altro s’impastano una dentro l’altra e diventano il gusto della nostra vita.
Aggiungo che c’è anche la delizia di una discussione sulla possibilità di ordinare una pizza surrettiziamente, e alla fine secondo me se non è un capolavoro è come minimo uno dei libri più belli che ci sono in giro. (saposcat)
Nel secondo racconto c’è un bellissimo IMC (Indice di Massa Corporea) al posto del solito BMI (Body Mass Index) che questo inglese dappertutto ci ha rotto le balle.
Noi, in quanto esseri umani, esistiamo nel linguaggio. (Humberto Maturana, Autocoscienza e realtà)

Nessun commento:

Posta un commento